La vecchia dell’aceto, l’avvelenatrice palermitana

La vecchia dell’aceto o “vecchia r’acitu” era una donna che viveva a Palermo ai tempi dell’inquisizione.

Era il tempo in cui furono molto frequenti le esecuzioni di condanne a morte che prevedevano il rogo, le impiccagioni o le decapitazioni pubbliche. Di lei ne scrisse anche il Natoli nell’omonima opera.

La vecchia dell'aceto, megera palermitana
La vecchia dell’aceto, megera palermitana

La storia

Le pubbliche esecuzioni si tenevano solitamente a piazza Indipendenza, a piazza Marina o ai Quattro Canti.

Insomma, all’epoca, i boia avevano un gran da fare per assicurare questo orrendo spettacolo, dando esecuzione a sentenze frutto di processi spesso sommari e pilotati.

Si trattava di eventi che comunque, malgrado l’atrocità, richiamavano la folla come un attesissimo derby di calcio dei nostri giorni.

Già la dice lunga il fatto che per l’occasione a volte si montavano degli spalti tutto attorno alla piazza dell’esecuzione, proprio per permettere alla gente di “godere” dello spettacolo, comodamente, nel migliore dei modi.

Le sentenze di condanna

Ma, perchè si veniva condannati? Tipicamente per eresia; in altre occasioni bastava semplicemente stare antipatici ad un nobile e dopo un breve “processo” finire quasi sempre sul patibolo.

Ma, di frequente, gli stessi nobili accreditati alla corte del vicerè, solevano usare la loro influenza per disfarsi con questi metodi dei propri nemici ed acquisirne fraudolentemente tutti gli averi.

Le esecuzioni facili

Bastava anche un solo sospetto di stregoneria per finire giustiziati, e a causa di questo chissà quante persone, magari semplicemente un pò strambe oppure con qualche problema psico-neurologico, fecero questa orribile fine.

Piccola curiosità: le spese dell’esecuzione erano interamente poste a carico dalla famiglia del condannato e recuperate anche espropriandone il patrimonio immobiliare.

Insomma, oltre al danno, anche la beffa!

Chi era la Vecchia dell’Aceto?

Anche il Natoli, nel suo libro, ci racconta che nel lungo elenco dei giustiziati presso la nostra città, si annoverò pure il nome di una donna palermitana, tale Giovanna Bonanno, conosciuta come “a vecchia r’acitu“.

Si trattava di una cosiddetta “maara” che, per sbarcare il lunario, si era inventata una “pozione” (a base di aceto e veleno per pidocchi) che vendeva a quelle donne sposate che intendevano disfarsi dei propri mariti, questi rivelatisi troppo maneschi o, comunque, dei poco di buono. Ma non solo a loro.

Il piano, tipicamente, prevedeva che con la “pozione” ci si condisse l’insalata dei malcapitati, che finiva per provocarne la morte per avvelenamento, quasi senza lasciare traccia.

La vecchia dell’aceto abitava alla Zisa

Fu così che nel quartiere popolare della Zisa, dove risiedeva Giovanna, cominciarono a verificarsi svariate morti di uomini, in circostanze parecchio misteriose.

Giovanna Bonanno, è stata incriminata di stregoneria e, purtroppo per lei, terminò la sua vita anzitempo bruciata sul rogo a piazza Vigliena (ai Quattro Canti).

Va segnalato che ai giustiziati, appena saliti sul patibolo, venivano concesse due opzioni: pentirsi subito e venire decapitati, oppure, perseverare nella propria malvagità e venire arsi vivi!

In pratica la scelta era tra una morte praticamente immediata e un’altra che prevedeva una lenta agonia e atroci sofferenze.

La scelta del rogo

Ma tornando al nostro personaggio, Giovanna, dopo la condanna, è stata portata a forza nella piazza, dove fu derisa e umiliata dalla folla e, una volta salita sul patibolo, incredibilmente scelse di non pentirsi.

Dove si trova?


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