La mia vita a Ballarò

La mia vita a Ballarò – ce ne parla oggi il nostro ospite, il cui nome ci pregiamo annoverare tra le pagine di “Amici di Cara Palermo“. Si tratta di un aneddoto della sua infanzia, trascorsa tra mille difficoltà nella Ballarò degli anni ’50.

Una storia toccante che apprenderemo dalle sue stesse parole. Ma, non prima di scoprire chi è l’autore:

Francesco Rubino nasce a Palermo nel Maggio del 1949. Dopo il percorso di studi universitari lascia la sua città natale spinto dalla volontà di costruirsi un futuro stabile. In pochi anni riesce a ricoprire importanti incarichi manageriali in diverse aziende multinazionali e in diverse sedi di lavoro, ma non tralasciando mai il contatto con la sua città e i suoi affetti più cari.

Pubblica nel 2018 con Fawkes Editions il romanzo “Volo Az.. Un sessantottino in aria”. Nel 2020 pubblica con LFA Pubblisher il suo secondo romanzo “Il medico di vicolo porta di Castro” …

Oggi, ci racconta di un particolare momento della sua infanzia.

La storia

Palermo, nel millenovecento cinquanta, risentiva ancora pesantemente della guerra conclusasi solo pochi anni prima.

Con molti palazzi del centro storico abbattuti o seriamente danneggiati, che aveva costretto molte famiglie ad abbandonarli. Altre, non avendo alternative, erano rimaste a vivere al loro interno, adattandosi alla meglio negli spazi agibili sempre con incombenti pericoli per gli abitanti.

Altre ancora avevano lasciato il loro quartiere ed erano emigrate verso il nord Italia soprattutto a Torino e Milano dove la speranza di trovare un lavoro era sicuramente maggiore che a Palermo.

Quella parte del paese, rimboccandosi le maniche, aveva già avviato la fase di ricostruzione post guerra di case e fabbriche. Questo vantaggio iniziale, nel tempo, avrebbe prodotto e consolidato il divario di sviluppo del nord che diventava inarrestabile e del sud che stentava a ripartire.

Della sua popolazione, io cominciai a farne parte esattamente il cinque luglio dello stesso anno.

La mia vita a Ballarò

Vidi la luce in un vicolo del centro storico e precisamente nel quartiere Ballarò. Zona che prende il nome da uno dei mercati storici della città. -Ballarò -, come gli altri mercati, rappresenta un ecosistema in cui la gente e i dialetti si fondono tra loro dando vita alla città più vera.

La mia vita a Ballarò
Il mercato di Ballarò
Le voci di Ballarò – https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.it

Il mio vedere la luce è certamente un ’eufemismo, visto che, in quella casetta a piano terra di quel vicolo, di sole e di luce ne arrivava veramente poca. La casa, che oggi per nobilitarla chiameremmo un loft, era stata ricavata da un garage e ospitava sia la mia famiglia che l’attività di mio padre: una calzoleria, che veniva separata dalla zona notte con l’artificio di tendoni scorrevoli.

Mio padre

Per tutti quelli del quartiere – don Totò u Scarparu- era uomo buono ma all’antica. Duro, severo solo all’apparenza, ma col cuore aperto al prossimo.

Grazie alla licenza di terza media, che in mezzo a tantissimi analfabeti valeva quasi una laurea ,era diventato oltre che il calzolaio anche il – consigliori- di molti abitanti della zona.

Si rivolgevano a lui per aver letto documenti, lettere o chiedere semplici consigli per le più svariate faccende.

In quel quartiere, abitato da gente molto povera, in molti casi ai limiti della sussistenza e anche da molti malavitosi di piccolo e medio calibro, l’arte di arrangiarsi era l’attività primaria.

Crescendo tra i suoi vicoli, ben presto, mi furono familiari i suoi odori, i suoi sapori, i sui colori, le “abbanniate” a squarciagola dei venditori di frutta, pesce, carne o formaggi.

Era familiare l’abitudine a vivere in mezzo a tanta gente e a tanto chiasso. Purtroppo, diventarono anche familiari le frequenti risse a cui ero costretto assistere e alle piccole e grandi violenze che si perpetravano in quel quartiere ad opera di malavitosi.

Cominciai così, anche involontariamente, ad avere amicizie o conoscenze anche pericolose che potevano diventare modelli da emulare. Ma qualche volta accade che il destino, il caso, il fato, Dio o non so che cos’altro, entri nella vita delle persone modificandone totalmente il percorso.

L’Avvocato

Io e i miei due fratelli giocavamo davanti l’uscio di casa quando all’improvviso, in capo al vicolo, fece capolino la figura del – principe/avvocato – vestito come sempre in maniera impeccabile, con il suo – Borsalino- di paglia bianca in testa.

Al mercato lo conoscevano tutti ma pochissimi sapevano il suo cognome ed il casato di appartenenza. Per tutti era – U principi avvocato – visto che era nobile di nascita, così si diceva in giro, e ora avvocato di professione con molti clienti proprio nella zona del mercato.

Tutti sapevano che abitasse in uno dei tanti bellissimi palazzi nobiliari di via Maqueda, strada principale della città, ricca di tanta arte e storia, che si snoda proprio alle spalle del mercato di Ballarò.

Sapevano anche che recentemente si era trasferito in un bellissimo palazzo di viale della libertà.

La proposta

Il – principe/ avvocato -, grazie all’amicizia che lo legava al direttore della mia scuola, saputo del mio brillante impegno scolastico e delle pessime condizioni economiche della mia famiglia, aveva deciso in cuor suo di portarmi a casa sua come se mi adottasse.

Parlò di questa sua idea con mio padre motivandola che così avrebbe provveduto alla mia formazione umana e scolastica, sgravando economicamente la mia famiglia.

Con molto garbo, anche se turbato da tale proposta, mio padre la rifiutò nettamente affermando che lui, anche con enormi sacrifici, riusciva a mantenere la famiglia con dignità e senza aiuto di nessuno.

L’avvocato, non abituato a ricevere negative da parte di nessuno, palesemente contrariato dall’orgoglioso diniego di mio padre lo salutò aggiungendo: “Totò mi dispiace molto. Onestamente non me lo aspettavo. Volevo fare una buona azione e tu me lo hai impedito. Ricordati che prima o poi non riuscirai a dirmi ancora no.
Ti saluto e pensaci bene”.

Francesco Rubino


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