U palluni s’arruccò. Tratto da “la voce di Bagheria“.
Oggi, nello spazio dedicato agli Amici di Cara Palermo, ci viene a trovare per la prima volta una pregiatissima ospite.
Lei è Anna Citta, e dalla sua splendida Porticello, ci propone un simpatico aneddoto. Un racconto, o meglio, quasi una metafora, narrata nel nostro dialetto, che non mancherà di appassionare i nostri followers.
Conosciamola meglio:
Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni si interessa di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne i profumi, i sapori e soprattutto un modo per conoscere se stessi e le proprie origini. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.
La storia
Comu si rici in italiano “u palluni s’arruccò”?
Me lo chiedeva una signora jorna fà. Nuatri, per spiegarla buona a cuosa, usiamo questo verbo quando vogliamo dire che la palla è andata a finire oltre una cancellata, oltre un muro alto, accussi àvutu che è impossibile recuperarla.
Di solito arruccato, participio passato di arroccare, significa posto in posizione elevata e difensiva proprio come una rocca.
Il siciliano fortifica di più il concetto e quindi l’arruccata del pallone diventa una condizione dell’anima che soffre. Se, picchì dovete sapiri che quannu s’arruocca u palluni, sopraggiunge un attimo di sgomento, ci si sente persi.
Cosa dicono i picciotti per strada: “minchia u palluni s’arruccò”! Cuomu si tutta la loro vita finisse in quell’istante.
Succirieva quasi sempre, e lo sapevamo, ma la sofferenza era sempre la stessa. Stesso punto di arroccatina, stesso amico sfurtunatu, ca alle volte scippava puru lignati.
E si parrava, i ragazzi ci ravanu u riestu! Tutti lo sapevano che prima o poi la palla s’avieva arruccari, era una premonizione.
E c’era sempri u baiccuni ra vicina di casa, acida, ma u palluni pari ca u sapieva, s’arruccava sempre lì.
La signora non solo non te lo dava, ma minacciava anche ri tagghiaritillu. Si putissiru parrari i supersantos!
Tutti chi tiesti tagghiati. Ma u juocu finiva male per il malcapitato che arruccava la palla. E uora cuomu ucamu?
La fine del gioco era rappresentata dall’arruccamientu, tranni quannu c’era il bambino coraggioso che si arrampicava sui tetti e sulle grondaie, attipo succi.
Ecco allora si ricominciava a ghiucari. Era un leggero dolore che all’improvviso si tramutava in adrenalina pura. Unni sunnu chiù sti picciriddi?