Su quel pullman per Palermo se ne vedevano, e ne succedevano di cose. Oggi ne scopriremo una dal gusto un pò piccante.
Tra le ormai piacevolmente animate pagine di Amici di Cara Palermo, torna a trovarci il nostro Vincenzo La Lia. Di lui avete già letto, tra queste pagine, in una precedente occasione che potrete trovare 👉qui.
Oggi il nostro Vincenzo ci regala una bella storia, affascinante e dolcemente sensuale, a tratti erotica. Una storia che si è svolta sul pullman, durante il tragitto per recarsi a scuola, come tutte le mattine.
Leggiamola insieme:
La storia
Il pullman per Palermo, quello delle sette, era sempre strapieno.
Per lo più studenti assonnati, con gli zaini dentro le cappelliere, sulle gambe e il vocabolario in mano.
Ad ogni fermata sempre gli stessi, ogni mattina dal lunedì al sabato.
Niente settimana corta, erano gli anni ottanta.
Zaino e giacca a vento sopra il sedile accanto, indicavano che il posto era occupato.
Senti è occupato?
Si è occupato.
Maschio fetente di sigaretta.
Senti è occupato ?
Si è occupato.
Viddano con il paniere pieno d’ uova e un sacchetto con dei pezzi di cacio cavallo.
Scusa è occupato?
No è liberissimo.
E lei si accomodava.
Lia e il suo profumo, non so di che marca, ma sapeva di sesso.
La sua gonna né lunga, né corta, morbida sulle sue cosce, se le accavallava, scivolava e le denudava.
Femmina e Madonna, trent’anni e i fianchi stretti, la fede incastrava la mano, il seno sbordava da sotto i bottoni, la camicia luccicante di raso, le calze di nylon uniformavano il colore della pelle bronzata dal sole.
Nessuno sapeva che lavoro facesse.
Commessa, babysitter, chissà forse avvocato, insegnante, maestra. C’è chi diceva fosse una pulla di lusso.
Il bracciolo separava la mia pelle dalla sua, i pretesti per sfiorarla erano tanti.
Una curva, lo zaino riposto malamente, mi raddrizzavo la schiena, mi stiracchiavo.
La mia pelle delicatamente contro la sua.
Era come fare l’amore.
Lussuria, desiderio, voglia, erotismo sfrenato.
Quindici anni i miei, la metà dei suoi.
Lia l’avrei sposata, per poterla palpare, baciare, toccare, guardare ed imparare a fare l’amore.
Per le quindicenni non provavo nessun interesse, sognavo Lia.
Bettina, Martina, Lucia, Rosaria erano carine ma senza minne, con il viso bambino in un corpo da mezze femmine.
Lia era tutta femmina.
Era un catalizzatore per testosterone.
Sul pullman avrei dovuto ripassare estimo, diritto, topografia, letteratura. Avrei dovuto, si.
Ma non avevo nessuna voglia di trasfigurare i miei sogni erotici a tema Lia, in altro.
Il tragitto era troppo veloce, un film muto e i suoi personaggi.
La vecchia tutta nera, in un lutto eterno, infinito.
La mendicante non pagava il biglietto, l’autista era misericordioso.
Si recava a Palermo e i gradini del santissimo Salvatore erano il suo negozio ambulante.
Ventagli stampati con le immagini dei santi, altri con i quattro canti, la cattedrale, San Giovanni degli Eremiti.
Maurizio lavorava in ospedale, faceva l’infermiere ed era frocio.
No, non era malato, non era stupido o minchione.
Nascondeva lo sguardo oltre i vetri, sotto i sedili, oltre gli occhi dei tribunali impenitenti.
“Renato zero, ti piace u brom brom?“
Glielo urlavano dalle ultime file, quelle degli scanazzati, il regno delle ” cutuliate” per quelli del primo anno, i muccarusi.
” Renato zero, ti piaci u microfono pi cantare?“
” Canta Renato zero, canta“
E tutti ridevano.
Maurizio, ma per tutti, Renato Zero u frociu.
Maurizio stava con Romina, un trans di vicolo Marotta e si amavano tra i vicoli maleodoranti di piscio di gatto, sotto il ponte di via Jafar, sulla spiaggia di sabbia e immondizia di Romagnolo.
A Villabate saliva a bordo Ninetta, andava a tentoni, era ipovedente, viveva di una misera pensione e del ricavato della cesta di pane che vendeva all’ Arenella.
Abbanniava ” pane Morrealese” e i palermitani le credevano e si facevano infinocchiare.
Ipovedente, vecchia, ma scaltra come una ladra.
L’odore di pane fuggiva dal cesto ed oltrepassava il panno bianco che lo ricopriva e manteneva.
Ero geloso di Lia. L’unico che non la spogliava con occhi bavosi era Maurizio.
Invece il bigliettaio ” il Baffone” se la scopava con gli occhi, con la postura, finanche con i suoi baffi, per come li lisciava.
Giovanni, Pietro, Pippo e Saro non erano miei amici, però mi rispettavano, al primo anno superiore mi avevano cutuliato e io non avevo né reagito, né pianto.
Avevo accettato con rassegnazione il rito d’iniziazione.
Tante legnate in testa tutte d’un colpo.
Le mani di Giovanni, malgrado le mie coprissero il viso, le riconoscevo, facevano odore di sigarette alla menta.
Quelle di Pippo invece, erano quelle che picchiavano più forte.
Loro sapevano delle mie voglie per Lia, gliene parlavo per non passare per frocio. “Calaccilla a pasta” mi urlavano dallo spazio franco delle ultime file, dove neppure il Baffone osava arrivare.
L’anno precedente aveva ricevuto calci pugni e sputazzate ma se l’era meritato, si era strusciato sul culo di Marina, la fidanzata di Pippo Macaluso. Il Baffone era mezzo maniaco, andava punito.
Lia scendeva alla stazione. Già a Romagnolo mi sussurrava: ” per piacere mi fai passare?“
Mi alzavo, lei passava e il suo corpo aderiva al mio, e con la mente sussurravo ciò che la donna fu per il sommo.
“Amor che ne la mente mi ragiona
de la mia donna disiosamente,
move cose di lei meco sovente,
che lo ‘ntelletto sovr’esse disvia.“