Un cono da cinque lire

Con “Un cono da cinque lire” torna a trovarci il nostro amico Daniele Billitteri che, dalle pagine di Amici di Cara Palermo, narra questo gustosissimo aneddoto della sua infanzia per i lettori del nostro blog.

La storia

Era nicu che ancora manco andavo nella prima alimentare ma già sapeva tutti i marciapiedi del Corso dei Mille. D’estate la divisa era cavusunicchi, canottiera e sandali francescani.

Un cono da cinque lire di Daniele Billitteri
Un cono da cinque lire di Daniele Billitteri

Voi magari pensate che a cinque, sei anni uno non se ne va andando marciapiedi marciapiedi e strate strate perché è troppo pericoloso. E io invece vi dico di no perché vi dimenticate che io sono vecchio e che quando avevo cinque anni, le cose erano diverse assai di come sono ora. Ma io ci ho l’archivio in testa.

Tanto per cominciare machine non ce n’erano. Dal Corso dei Mille, che era una strata con le balate, ne passava una ogni tanto. Erano le 1100 “103”, qualche Topolino, raramente qualche Fiat 1900 disel ed era festa quando passava qualche Lancia Ardea.

Passavano invece gli strascini, i carretti e le carrozze che erano la nostra passione. Dove abitavo io c’erano una poco di garage dei cavalli dei gnuri che poi montavano davanti alla Stazione Centrale.

I miei compagni di giochi erano, pellappunto, i figghi dei gnuri e la nostra passione era quella di appinnuliarinni nell’asse delle ruote di dietro per farci la carrozziate. E u gnuri, con la zotta, dava colpi in secco all’indietro per farci scendere.

La carrozza era il tassì di allora e ci viaggiavano intere famiglie. Sono sicuro che avete sentito dire l’espressione “Va sucaci i pirita ai gnuri” come per dire “Non conti niente”.

L’origine di questa frase sta nel fatto che nella carrozza c’era il sedile grande dove stavano i genitori, e uno piccolo a ribalta che stava di fronte.

Lì si sedevano i picciriddi e al più piccolo ci attoccava il posto proprio alle spalle dello gnuri che stava seduto in cassetta. Così lo sfortunato picciriddo si trovava con la testa all’altezza del culo dello gnuri il quale non si faceva certo pobblemi a piritiare tutte le volte che ci veniva. Ecco, quello era quindi il posto di quelli che contavano quanto il due di spade con la briscola a coppe.

Sapevamo tutti i giochi: acchiana u patri cu tutti i so figghi, lo spagno, u fussiteddo, bella e niente, u sciusciuni, accostare. E c’era chi non faceva la pipì a casa per arrivare bello carico quando i giochi cominciavano che ci sedevano tutti belli sistemati sopra il bordo del marciapiede e facevamo a chi pisciava più lontano.

E non ci succedeva niente perché eravamo tutti picciriddi in carico a tutto il quartiere. Noi “appartenevamo” al quartiere. E siamo ancora qua a raccontarlo. E alla fine della mattinata un cono da 5 lire dal gelataro non ce lo poteva levare nessuno. Ragazzi di strada? Meglio di Gardaland, altroché.

Tante belle cose.

Daniele Billitteri autore di Meteobilli

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