Con la sua straordinaria “Notte Palermitana” giunge tra le pagine di Amici di Cara Palermo un ospite graditissimo che ci racconta una particolare storia, tratta dal suo “Pilipintò – Racconti da bagno per siciliani e non“, i cui personaggi sono Pasticcini, Torte, Ravazzate, Arancine e Cornetti. Insomma, un vero concentrato di delizie siciliane che… mmmh… non aggiungo altro.
Lui è Carlo Barbieri. Conosciamolo meglio:
Carlo Barbieri è vissuto a Palermo, dove è nato, e a Catania, Teheran e Il Cairo; ora risiede a Roma, ma ha mantenuto forti legami con la sua terra nella quale ambienta molte delle sue storie. Ha pubblicato una ventina di libri che spaziano dall’umoristico ai thriller (la serie del commissario Mancuso della Omicidi di Palermo) e, con Einaudi Ragazzi, al fantasy e gialli per bambini, alcuni dei quali ripubblicati in Cina e Turchia. Di recente ha dedicato alla sua città natale “Tre passeggiate a Palermo”, inaugurando un ulteriore genere letterario.
Collabora con testate cartacee e digitali.
La storia
La saracinesca calò fragorosamente e nella Famosa Pasticceria si fece il silenzio. Ma non il buio totale.
Erano rimaste accese, come sempre, le spie colorate dei banconi frigoriferi, della macchina del caffè che veniva lasciata in funzione “così la mattina si faceva prima, e il caffè veniva meglio”… e naturalmente era rimasta accesa la lucetta perpetua di fronte alla foto ovale del Cavaliere del Lavoro sig. Santino, il Fondatore, che aveva lasciato pochi anni prima questo mondo in modo indolore, dolcissimo e coerente: coma diabetico.
Il primo a rompere il silenzio fu un Cannolo del reparto pasticceria. Nella quasi oscurità, la mezzaluna di scorza d’arancia candita sembrava una bocca sorridente.
– E pure oggi, la pasticceria batte la rosticceria!
– Siamo forti! – rinforzò con voce baritonale un Cartoccio fritto vagamente fallico, spandendo un po’ di crema di ricotta, mentre i granellini di zucchero di cui era ricoperto brillavano come diamantini.
– Scusate ma che c’entrate voi Cartocci con noi della Pasticceria?
– protestarono in coro le Minne di Vergine, facendo pudicamente capolino da dietro un Mont Blanc.
– Lo sanno tutti che la Pasticceria Siciliana è nata nei conventi dove le fanciulle dei casati più nobili facevano a gara a chi inventava i dolci più buoni… – disse una con l’aria della studiosetta.
– Conventi seri, di clausura, lo si capisce anche dal nostro nome – precisò un’altra con superbia.
– E figurati se nei conventi di clausura avrebbero mai fatto delle cose come… come… aggiunse un’altra, arrossendo e distogliendo subito gli occhi dal Cartoccio.
Il Cartoccio si incazzò: – Veramente il vostro nome mi dice solo che siete zitelle e il modo con cui mi guardate mi dice pure che alla verginità non ci teniate tanto… e poi mi sembrate pure un poco acide, sono sicuro che siete lì da almeno due giorni. Ma già, chi vi piglia a voi…
Le Minne di Vergine diventarono più rosse del Gelo di Mellone ed ammutolirono offese.
– Picciotti non esageriamo e soprattutto parramu pulito – sbottò con il suo pesante accento palermitano, dal reparto rosticceria, uno sfincione ricoperto di bionda cipollata. – Ricurdativi – e indicò i pasticcini mignon e le pizzettine – ca ci sunnu i vostri e i nostri picciriddi ca ni sentunu.
– E comunque se non vi dispiace – si inserì una Ravazzata – io non capisco come si fa a dire che la pasticceria batte la rosticceria. Ma chi significa, aah? Cu ’u dissi?
Come sempre la Ravazzata, squisito incrocio bastardo fra l’aristocratica brioche e il popolare ragù, cominciava un discorso in italiano e lo finiva in dialetto.
– Lo dice il successo di pubblico – rispose una grossa Sfincia di San Giuseppe gonfia di crema all’inverosimile.
– Esatto – si associò autorevolmente una Cassata allegramente colorata come un carretto siciliano.
“Sì”, “Vero”, “Vero è”, “Abbiamovintonoi” “Aléee-ooh-ooh” cominciarono a gridare tutti insieme i Profitterol, le Marie Stuarde, le Genovesi, gli Africani, i Cornetti di Croccantino Panna e Fragole, i Frutti di Martorana.
– È cosìì, è cosìì – urlarono rauche le Lingue di Suocera.
– È assssolutamente evidente – flautarono con voce sensuale due abbronzatissime Setteveli al Cioccolato, accennando un passo di danza orientale mentre le Kubaite di frutta secca le incitavano in arabo.
Un casino che neanche allo stadio.
– Ma di quale minchia di successo di pubbico parrate, aah? Del pubbico della mattina, dell’ora di pranzo, o della sera, aah? Di giorno lavorativo o di domenica, aah? – intervenne lo Spitino in difesa della Rosticceria. – Vogghiu vìdiri iu, se all’ora di pranzo ’a genti dumanna un cannolu oppuri un bellu spitinu o macari n’arancina!
– Minchiaraggiunihai – fecero le Arancine al Burro e quelle con Carne, per una volta d’accordo.
– La tipologia del cliente, e conseguentemente la domanda, cambia con la fascia oraria e con il giorno della settimana – sentenziò in perfetto italiano la Trancia superstite di una grossa teglia di Pizza. Si girarono tutti a guardarla stupiti. – ’U sintivu diri ieri a un impiegatu d’a società commerciale cà vicinu – precisò la poveretta, rossa di pomodoro in viso.
I pochi Cornetti rimasti dalla mattina avevano appizzato le orecchie. Il reparto Pasticceria li snobbava regolarmente, ma se si fosse fatta una classifica solo per la mattina, avrebbero certamente stravinto… bisognava parlarne subito alle decine di cornetti freschi alle Mele, al Pistacchio, al Cioccolato, alla Ricotta, alla Crema Gialla, al Miele e alla Marmellata che fra qualche ora avrebbero invaso la zona bar.
Nel reparto Pasticceria i Biscotti Secchi, che erano i più anziani e avevano esperienza, si resero conto che la Rosticceria aveva messo a segno un colpo che rischiava di incrinare il loro fronte e decisero di intervenire. Non a caso, a parlare fu un Quaresimale pieno di mandorle.
I Quaresimali erano stimati da tutti perché mezza Italia provava inutilmente a imitarli sfornando cantuccini, tozzetti e via copiando.
– Sentite, perché invece di litigare non ci raccontiamo le “cose della gente” di oggi? Chi comincia?
Non si poteva rinunciare a raccontarsi “le cose della gente”. Era l’unico vero divertimento della loro breve esistenza, ma anche una vecchissima tradizione: tutti – Pasticcini, Torte, Ravazzate, Arancine, Cornetti – avevano il dovere di raccontare le “cose della gente” ai nuovi arrivati per non interrompere il filo di un racconto a puntate senza fine.
Visto che non si decideva nessuno, la Macchina del Caffè decise di rompere il ghiaccio: – La vedova Fecarotta si è fatta l’amante.
– E come lo sai? Ma veru dici? – chiesero interessatissimi i due schieramenti.
– Una telefonata di sua cognata ho sentito. Il barista si era allontanato e lei pensava di essere sola.
Dal reparto rosticceria arrivarono commenti pesanti: “Ma cu s’a pigghia, ca grossa comu una vutti è”, “Ma come, dopo neanche sei mesi di vedovanza già ci abbrucia?”
– Ma che “grossa come una botte” e quali sei mesi! Voi niente sapete! Quella si è data da fare subito! – esclamò una Castagna Candita Ripiena di Panna. – Pensateci bene: da quant’è che la vedova Fecarotta non si vede qua dentro?
Si guardarono tutti. In effetti la vedova Fecarotta, una delle più assidue frequentatrici di tutt’e due i reparti, non veniva da un pezzo. La Castagna proseguì: – Noi Castagne, dal nostro posto vicino alla vetrina, l’abbiamo vista passare quasi ogni giorno. Ci mangiava con gli occhi, si vedeva che soffriva, ma non entrava.
Il lutto l’ha messo solo la prima settimana. Poi, man mano che dimagriva, è passata ai grigi e ora gira colorata, scollacciata e rifatta dalla testa ai piedi.
– Me lo immagino cosa avrà detto a tutti – commentò invidiosa una Minna di Vergine che aveva una segreta, impossibile passione per i reggiseni di pizzo – “mischina di me come sto dimagrendo per il dolore”, “mischina di me devo cambiare continuamente i vestiti”… e magari di nascosto si comprava pure la biancheria intima osé, quella tutta merletti e pizzi, che vergogna.
– ’Sta grannissima buttana!
– Vabbè ma comu i giustificò i vestiti a culuri?
– Magari con le svendite, lo sanno tutti che è tirchia….
– O magari con l’allergia al nero.
– Siì, l’allergia a ’staminchia! – esclamò il Cartoccio.
Le Minne di Vergine lo guardarono arrossendo e una Iris Fritta piena di crema di ricotta corresse – Ma quale “allergia a staminchia”, la vedova Fecarotta con la minchia la cura ci si vuole fare, ahaha!
…VROOOM!
– La saracinesca! Ssst… zitti!
– Ma comu, già i lavoranti ci sù?
– Già le cinque sono?
– Ma quali cincu, sarannu i quattru e menza.
– E chi successi?
– Ragazzi oggi è San Giuseppe e pure domenica, si vende di più e perciò vengono a lavorare prima.
– Vero è…
– Mi raccumannu picciotti, dicìtici a chiddi novi di cuntàrisi sempri ‘i cosi d’a genti.
– Ciao!
– Ciao!
– Ssst… zittìtivi.
– Ciao belle Minne.
– Addio (sospiro) bel Cartoccione…
Da Pilipintò – Racconti da bagno per siciliani e non
Premio speciale della giuria all’Umberto Domina per la letteratura umoristica.
Terza edizione