Da quando esiste lo sfincione, questa scelta è sempre stata oggetto di discussione. Ma l’unica certezza è che questa specialità tradizionale è una di quelle che non si discutono: si mangiano!
La pizza siciliana
In realtà, lo sfincione è solo una delle innumerevoli pizze siciliane: specialità che, con ingredienti e preparazioni un pò diverse, ritroviamo in tutte le province della nostra bella Sicilia.
Si va dalla “Scacciata” catanese al “Pituni” messinese, dalla “Rianata” trapanese alla “Fuata” nissena, per arrivare al “Pizzolo” del siracusano, passando per la “Scaccia” ragusana… e tanti altri gustosissimi esempi che non posso illustrare tutti. Però, ognuno di loro meriterebbe certamente un post dedicato.
Ma non potrei non nominare la squisita “Faccia di vecchia” prodotta in quel di Torretta, piccolo comune nei pressi di Palermo, o della forma particolare della buonissima “Lumera” prodotta nella val di Noto. Insomma, è proprio il caso di dirlo: ce n’è per tutti i gusti!
U sfinciuni
Torniamo al nostro: il nome di questa specialità, da sempre sul podio dello street food, lo si fa derivare dal latino spongia o, forse, dal greco spòngos, cioè “spugna”. Ma, come si evince, anche sulle origini del nome la questione è ancora lontana dal potersi dichiarare risolta.
Comunque è proprio questa la caratteristica dello sfincione: la sua consistenza morbida e spugnosa. Specificità, questa, riscontrabile, anche se in misura un pò diversa, nelle due versioni esistenti nel palermitano, di cui una di origini bagheresi.
Le due versioni si differenziano tra loro più che nella forma direi nella sostanza, visto che questa deriva dalla scelta di inserire o meno, alcuni ingredienti: la ricotta (o tuma) e il pomodoro. Anche se, bisogna osservare, che esistono sottovarianti che utilizzano, pur se in proporzioni diverse, li utilizzano entrambi.
Ma, poco importa, lo sfincione, bianco, rosso (o rosè), è comunque un vero must.
La storia
Sfincione bianco di Bagheria
Secondo alcune fonti, la nascita dello sfincione bagherese è addirittura antecedente al periodo della fondazione della stessa città di Bagheria: cioè il 1650.
Fu allora che il principe Giuseppe Branciforte di Butera, dopo il fallimento del complotto contro la Corona, organizzato per separare la Sicilia dalla Spagna, si ritirò nei suoi terreni presso la città di Palermo.
In quel luogo, fece costruire un imponente palazzo, attorno al quale si sviluppò in seguito il nucleo di Bagheria.
Tra la sua corte c’erano i cosiddetti Monsù, ovvero i suoi cuochi personali. Questi erano soliti produrre per il signore di Branciforte una specialità chiamata “sfincione” che, in realtà, veniva già prodotta dalle monache del monastero palermitano di San Vito.
Ma sembra che la specialità prodotta dalle suore, fosse a sua volta la rivisitazione di un piatto molto più antico, le cui origini si perdono nella notte dei tempi: molto probabilmente uno “sfincione” (focaccia), di probabile origine greca, che era condito con besciamella, pollo e piselli. Le suore, però, ne avevano modificato totalmente gli ingredienti del condimento, secondo loro gusto e disponibilità, come vedrermo più avanti.
I bravi Monsù del Principe pensarono bene di modificare a loro volta la ricetta delle suore, utilizzando i prodotti reperibili nelle vicinanze, ed ottenendo il risultato che conosciamo ancora adesso come sfincione bianco di Bagheria.
Le modifiche riguardarono l’uso delle sarde di Aspra, frazione marinara di Bagheria, e della tuma (o ricotta) freschissima, prodotta nei pascoli vicini.
Sfincione rosso palermitano
Come già accennato, lo sfincione vide la luce nel convento palermitano delle suore di Son Vito. E pare che questo sia nato grazie alla loro costante ricerca per inventarsi qualcosa di diverso dal pane, che era il solito cibo quotidiano.
L’idea fu quella di realizzare un impasto di farina, molto soffice, e di utilizzare per il suo condimento una serie di ingredienti che erano quelli tipici delle tradizioni contadine. In realtà, le suore modificarono un’antichissima pietanza (focaccia), di origini greche, di cui conoscevano bene la ricetta.
L’innovazione introdotta dalle suore, consisteva soprattutto negli ingredienti per il condimento: l’olio, il formaggio, la cipolla, ed il pangrattato.
A questi, venne infine aggiunta l’aggiuga e solo successivamente il pomodoro(1) che lo rese rosso.
Non si ha quindi una datazione certa ma, da quel risultato, poi arricchito dall’aggiunta del pomodoro si ottenne il prelibatissimo sfincione rosso palermitano, che oggi tutti conosciamo.
E dato che nella nostra terra la tradizione si mischia spesso con la devozione, lo sfincione finì ben presto per diventare una specialità immancabile sulle tavole nei giorni delle feste natalizie. Lo si ritrova soprattutto in quelli dedicati all’Immacolata, la sera del 7 dicembre. Ma anche in quella del 31.
La verità? Ogni occasione è buona per farne una scorpacciata!
Lo sfincione, comunque, è principalmente un prodotto che si può gustare per strada, e lo si può acquistare dagli innumerevoli rivenditori ambulanti. Questi, spesso, a bordo di Apecar attrezzate per la vendita, girano per le vie della città attirando i clienti con le loro caratteristiche “abbaniate“.
Insomma, un prodotto tradizionale da gustare indifferentemente, caldo o freddo, e dal gusto insostituibile.
(1) Sull’aggiunta del pomodoro, occorre fare una piccola nota: è bene ricordare che questo alimento venne importato dalle Americhe in Europa, verso la metà del ‘500, ad opera dei “Conquistadores” spagnoli, e che ancora nel ‘600, dalle nostre parti, non era un alimento particolarmente diffuso.
Quindi, Bianco o Rosso?
In ogni caso, bianco o rosso che sia, lo sfincione è una di quelle prelibatezze a cui nessun palermitano è disposto a rinunciare. Provare per credere!
Dove si trova?