Zappagghiuna e malaria, un duo imprescindibile.
Come se non bastassero già le famose epidemie di peste, alcune particolarmente virulente e per questo passate alla storia come quella del 1624, Palermo e la sua provincia soffriva periodicamente di un’altro flagello che mieteva vittime in modo subdolo e spesso inatteso: la malaria.
Non riuscendo a venire a capo del misterioso meccanismo che le generava, le cosiddette febbri terzane e quartane, tipiche manifestazioni di questa malattia, erano considerate alla stessa stregua di una maledizione che colpiva la gente, un pò a caso.
I malcapitati, sembravano essere stati puniti da una “mala sorte” che per qualche ragione misteriosa si era impossessata delle loro vite… forse si erano resi protagonisti di una qualche manchevolezza? Oppure avevano peccato!?
La storia
Nella realtà delle cose, già in epoca romana, le epidemie di questo flagello invisibile si verificavano regolarmente in tutta Europa.
Invero, da tempi remoti le popolazioni della terra sono state esposte ciclicamente ad ondate di malattie a carattere epidemico che falcidiavano e, a volte, decimavano il popolo. Si pensi al tifo, al colera e soprattutto alla peste, che a Palermo, in una delle sue innumerevoli ondate, fece assurgere la nostra Rosalia Sinibaldi a Santa, acclamata salvatrice del popolo.
Quindi, anche la nostra Sicilia non venne affatto risparmiata da queste calamità. Anzi, da queste parti, pare che la malaria trovò terreno particolarmente fertile e riuscì a mietere moltissime vittime.
I rimedi “infallibili”
E, intanto, mentre la gente si ammalava e spesso di malaria ne moriva, c’era chi vendeva amuleti e portafortuna vari che promettevano di tenere lontano questo nemico invisibile.
Tra questi improbabili rimedi, tre spiccavano in ordine di importanza:
1) Bagnoli di urina, meglio se di donne incinte;
2) Ampollina con lucertola viva da portare al collo;
3) Ragnatele raccolte all’alba, da tenere sotto alle ascelle.
Questo era tutto ciò che la credenza popolare riteneva antidoti infallibili, allora appositamente preparati e messi in vendita da sedicenti maghi e fattucchiere.
Personaggi senza scupoli e i loro affari
Dalle nostre parti, come già descritto in un articolo riguardante il mercato delle Pulci, abbiamo visto che nel XVI secolo, soprattutto nella zona di Danisinni, appena fuori le mura della città, i casi di malaria erano molto frequenti.
Ci fu, addirittura, un momento in cui qualcuno pensò bene di monetizzare questa disgrazia, riuscendo a farci sopra dei soldi. Come? Affittando case di “villeggiatura” vicino al fiume Papireto, proprio nella zona dei Danisinni.
Il business dell’affitta-case era concepito in modo da provocare volontariamente, e su commissione, la morte delle malcapitate vittime, che erano quasi sempre donne (mogli e/o amanti) che inesorabilmente subivano il contagio e finivano per ammalarsi.
Vi invito a leggere 👉questo articolo che, tra altre cose interessanti, descrive pure questa strana ma soprattutto crudele attività.
Il Pitrè
E mentre il mondo girava come un brodo dentro al calderone dell’ignoranza, lasciando margine a qualche furbetto senza scrupoli che approfittava della situazione, anche il Pitrè ne scriveva così: “Pri frevi tirzana, frevi quartana nun sona campana” o ancora “Frevi quartana li vecchi ammazza e li giuvini sana“.
La palude di Mondello
Ma, Danisinni non era certo l’unico luogo a Palermo ad essere colpito da questa calamità. Senza spostarsi troppo dalla città, il villaggio di Mondello ad esempio, con i suoi vasti acquitrini, era un’altra zona afflitta da questa piaga.
E, anche li, la lotta per la bonifica non è stata cosa semplice. Come sanno bene i palermitani, almeno sotto l’aspetto puramente idraulico, dall’800 ad oggi, la questione non è affatto storia conclusa. E’ notorio, infatti, che alle prime piogge stagionali, ancora adesso, quasi tutta la zona di Mondello torni a soffrire del problema degli allagamenti. Se ne parla a 👉 questa pagina.
La lotta alla malaria
A un certo punto, non potendo far molto, e credendo che la responsabile di tutto ciò fosse l’aria che si respirava (da li il nome mala-aria) ci si proteggeva come meglio si poteva.
La grande scoperta
In seguito, scoperta con certezza la causa, sono stati trovati i rimedi. Frattanto nel palermitano, come già detto, continuavano a verificarsi moltissimi casi.
Zappagghiuna e malaria
Infatti, solo molto più tardi si comprese che all’origine di tutto ci stava un particolare tipo di zanzara, la cosiddetta “anopheles”, che i palermitani chiamavano comunemente “zappagghiuni”, in pratica come tutti gli insetti che vedevano volare e che potenzialmente potevano pungere.
Una piccola peste alata che ha lungamente scorazzato e mietuto vittime, soprattutto presso le aree paludose e gli acquitrini, loro habitat naturale, portando con se e diffondendo attraverso le punture inflitte, alcuni microscopici parassiti del genere “plasmodium“, il vero nome del killer invisibile, vera causa della malattia malarica.
Questo problema, però, almeno dalle nostre parti (ma non solo) ce lo siamo portati appresso fino agli anni 50 del ‘900. Quando ancora, la zanzara anofele che era veicolo di questo parassita, continuava a scorazzare indisturbata, in lungo e in largo, nei nostri territori.
Pensate che nel rapporto epiodemiologico redatto dalla Croce Rossa Italiana, riguardante il periodo tra il 1905 ed il 1908, emerse che la Sicilia era, tra tutte le regioni d’Italia, quella dove si moriva di più a causa di questa malattia. Erano 5977 i decessi acclarati, e Palermo era in testa alla classifica con ben 1600 casi, solo nel 1908. Comunque, l’allarme era già scattato a livello mondiale.
Intanto, nel 1929 il re aveva disposto le bonifiche del territorio, soprattutto delle cosiddette “zone umide” e degli acquitrini, opere che servivano ad arginare il fenomeno malarico. Ma in Sicilia, fatta qualche rara eccezione, queste tardavano ad arrivare.
Il cluster
A causa di ciò, nella cosiddetta “piana di Lascari“, tra Cefalù, Collesano, Gratteri e Campofelice si formò quello che oggi definiremmo un grande “Cluster” epidemico… una famigerata zona rossa.
Non fu semplice combattere questo nemico. Infatti, malgrado l’avvio delle bonifiche e la massiccia somministrazione di “Chinino” alla popolazione, il nemico era ancora lontano dall’essere sconfitto.
Per fortuna, quando si arrivò alla conclusione che muscaluori e tappine, da sole, non bastavano a tenere sotto controllo la situazione, ecco che arrivò come un miracolo dal cielo, la soluzione definitiva.
Il Ddt
Infatti, verso la metà degli anni ’40, fu importato anche in Italia il famigerato DDT, il re degli insetticidi. Il nonno del Raid “Li ammazza stecchiti…”. Era l’ultimo ritrovato dell’industria chimica che giungeva in nostro soccorso dalla vicina Svizzera. Il rimedio principe… una vera panacea.
Nella realtà, il Ddt era una scoperta del chimico tedesco Othmar Zeidler, risalente al 1874. Solo che allora non si seppe che farne e il brevetto venne messo da parte. Più avanti, nel 1939, l’azienda svizzera Geigy ne comprese l’importanza, acquisì il brevetto, e cominciò a produrlo in grande scala.
E se ne fece un uso davvero smodato di questo efficace rimedio, tanto da riuscire a sterminare in breve tempo quasi tutte le zanzare e con esse pure la malaria.
I miei ricordi degli anni ’60
Ricordo che pure miei nonni, solevano tenere riposto in un angolo della cucina il diffusore a pompa di questa potente arma chimica. Era uno strumento di distruzione di massa che in quel periodo si usava regolarmente contro mosche, zanzare e tutto ciò che volava e non. E proprio grazie all’uso del DDT, riuscivano ad avere ragione su questi comuni “nemici” domestici, almeno 99,9 volte su 100.
Zappagghiuna e Ddt
Ricordo che il Ddt lo si usava regolarmente, anche a scopo preventivo, spruzzandolo negli ambienti casalinghi, spesso pure a ora di pranzo, mentre il cibo stava sul tavolo… giusto per tenere lontane le eventuali mosche in arrivo, prima che vi si posassero sopra.
Ricordo pure che da bambino mi è capitato più volte di giocarci con quello strano strumento, spruzzando nell’aria il suo contenuto che diffondeva un odore acre, mentre i mie nonni erano indecisi su cosa dirmi, tra un classico “smettila, lascia stare il DDT” e un assecondante “ma si… già che ci sei, mentre giochi, ammazza tutte le mosche che vedi”.
A farla breve, tutti erano convinti che il DDT facesse del male solo agli insetti e non anche alle persone.
E, guarda caso, tutti dovettero ricredersi, quando fu scoperto il “lato oscuro” del DDT, dei suoi aspetti fino ad allora non conosciuti e delle ricadute negative sulla salute umana e sull’ambiente, in quanto cancerogeno e persistente.
Vi risparmio il resto, concludendo che il DDT è stato messo definitivamente al bando in Italia, solo nel 1978, anno in cui ne è stata proibita la produzione l’importazione e la vendita. Ma, vi assicuro che anche negli anni successivi lo si trovava sottobanco. Tutto a “beneficio” di chi ancora non aveva capito.
Il Mare Nostrum, ne sa ancora qualcosa.
Morale: ammazzate pure tutti gli zappagghiuna che volete… ma fatelo solo con la tappina (ciabatta) o, al massimo, con le moderne racchette elettriche. E’ più sicuro.
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