Papireto, il fiume nascosto

Del fiume Papireto, ormai nascosto nel sottosuolo, ne ho già accennato svariate volte, in occasione di precedenti post pubblicati su questo blog. Ma, in tutte queste, ho toccato l’argomento in maniera molto marginale.

Non tutti lo conoscono, e visto che l’interesse per i corsi d’acqua palermitani è sempre vivo, dopo avere scritto del fiume Oreto, ho pensato di approfondire, per quanto mi è stato possibile, anche la mia conoscenza del Papireto. Ciò mi è tornato utile per scrivere di questo fiume nascosto, magari in maniera un pò più dettagliata di come ho già fatto in passato. Per questo al Papireto, ho voluto dedicare un intero articolo.

Piante di papiro
Piante di papiro

Sul fiume Papireto, si sono scritti “fiumi” (scusate il gioco di parole) di trattati, leggende, aneddoti, storie, vere o romanzate che siano. Pagine su pagine che nei secoli, hanno fatto di questo corso d’acqua, un misterioso mito palermitano. Quella molto nota del Coccodrillo del Papireto (Vuccirìa ndr), o del collegamento sotterraneo con il Nilo, ad esempio, sono solo due tra le tante leggende nate su questo fiume.

N.b.: del mitico alligatore della Vucciria, ne ho già scritto a 👉questa pagina.

Oggi, vedremo di districarci tra questa mole di informazioni, cercando di trarre almeno le parti più salienti. Ciò allo scopo di riuscire a farci un’idea di cos’era, e di cosa è invece diventato ai nostri giorni il fiume Papireto, il cui destino e la storia si intrecciano inestricabilmente con quelle della nostra città.

Partiamo, dunque, da lontano… molto lontano!

La storia

Per parlare dei suoi fiumi, dobbiamo prima, necessariamente, parlare di Palermo e della sua storia. E questo, non è affatto semplice, si tratta “solo” di trovare una sintesi degli eventi accorsi in quasi 3000 anni!! Ma, niente panico, cercherò di sintetizzare al massimo, concentrandomi esclusivamente su quei piccoli frammenti temporali riguardanti i periodi che maggiormente ci interessano, e che sono connessi solo alle più importanti fasi evolutive della storia del nostro fiume. O poco più?
Beh, la storia è lunga e affascinante, mettetevi comodi.
Cominciamo con il dire che il suo nome è banalmente dovuto al fatto che, lungo le sue sponde, un tempo cresceva rigogliosa la pianta del papiro e …

La paleapoli

Come certamente saprete, della primitiva città di Palermo, la cosiddetta Paleapoli era la parte più antica. Questo primo nucleo, venne fondato dai Fenici in piena età del bronzo, quasi tremila anni prima della nascita di Cristo. Dopo il loro arrivo in Sicilia, e dopo avere fondato Mozia, (di fronte Cartagine), i Fenici continuarono la loro opera, fondando Solunto e infine Palermo. Quest’ultima la vollero creare nella parte più alta di un promontorio, a circa 30 mt sul livello del mare. Subito dopo fortificato, questo piccolo gruppo di edifici costituì il perno centrale del nuovo insediamento. Fu cinta da alte mura, la nuova cittadella, ed aperta su due lati opposti, assicurandovi accesso attraverso due sole porte: una orientata a nord-est, (verso il mare) e, l’altra, in sua opposizione a sud-ovest, verso l’interno.

Questo nucleo primitivo, sorgeva tra due fiumi: Kemonia e Papireto, rispettivamente detti “fiume d’oriente” e “fiume d’occidente“. Entrambi riuscivano a mantenere un livello delle acque pressochè costante, tanto da essere normalmente navigabili, per tutto il loro percorso. Soprattutto le acque del Papireto, con flusso idrico maggiore, erano solitamente solcate da svariate imbarcazioni

Questo fazzoletto di terra, a forma di penisola, che degradava verso il mare, millenni dopo diventerà il cuore della Palermo che tutti conosciamo, ed era posizionato, all’incirca, tra l’odierno palazzo dei Normanni e la Cattedrale.

Papireto il fiume nascosto
I fiumi Kemonia (a sinistra), e Papireto, (a destra).

L’orografia della Paleapoli

In buona sostanza, come già anticipato dalla precedente descrizione, e come ancora visibile nell’immagine qui sopra, parte della zona del Cassaro basso, piazza Marina ed il Foro Italico, si trovava sotto metri d’acqua di mare, a fare da rifugio ai tanti pesci, rizzi, purpicieddi e granci.

Quando sentite parlare alla TV di scioglimento delle calotte polari e della futura sommersione di parte delle coste, anche siciliane, sappiate che sarà come fare un passo indietro nel tempo di circa tremila anni. Ovviamente, in quella futura occasione, noi non ci saremo, e non ricompariranno neppure i fenici (perdonate la nota ironica).

La neapoli

Con il corso dei secoli, la città, passò sotto il dominio romano (254 a.C.), che nella cittadella fondata dai fenici istituirono il nuovo centro amministrativo cittadino, ampliandolo, e fortificandolo ulteriormente.

Col tempo, la città cominciò ad espandersi fuori dalle vecchie mura, verso il mare, conquistando sempre più spazi nella penisola. Spazi che prima erano dominio della natura, e trasformando questi nei nuovi insediamenti urbani. Era nata la parte nuova di Palermo, la cosiddetta neapoli.

Il mare e il porto di Palermo

Il mare lambiva le coste della neapoli, alla convergenza delle foci dei due fiumi, all’incirca all’altezza dell’odierna via Roma. Mentre la terraferma, lateralmente a questi, si protraeva ancora oltre (vedi immagine in alto), costituendo una grande insenatura, che offriva un ampio e tranquillo riparo per le navi. Proprio per questo, in epoca romana la città venne chiamata Panormus (tutto porto). Era il vecchio grande porto della città, del quale oggi ne resta solo una piccola parte superstite: la Cala.

Gli arabi a Palermo

Poi fu il turno degli arabi, (831 d.C.), che in quella zona si insediarono, dando origine alla “al-Khālisa” – l’eletta -, (oggi Kalsa ndr), la cittadella dell’emiro. E lì, si apre un universo di fatti e accadimenti. Ma, per brevità, e come già premesso, anche su questo momento storico non mi soffermerò oltre il necessario.

Danisinni

Nel corso del tempo, anche al di fuori delle mura fortificate, a monte della città, cominciarono a sorgere i primi insediamenti che ne costituirono la periferia. Tra questi era la contrada chiamata successivamente Danisinni dai palermitani: uno dei quartieri appena fuori le mura, dove alloggiavano i cosiddetti schiavoni: soprattutto manovalanza e mercenari al servizio delle autorità, ma anche i commercianti degli schiavi cristiani, con i quali i padri Mercedari per lungo tempo si trovarono a trattare per la loro liberazione.

Era una zona che comprendeva una depressione naturale, al cui centro scaturiva la ricca sorgente d’acqua che dava vita al fiume Papireto.

L’origine del nome Danisinni, presumibilmente, ha a che fare con la stessa sorgente del fiume. Questa, venne chiamata dagli arabi con il nome della Principessa, figlia del walì (il governatore): Ayn Sindi. Nome che risulterebbe – stranamente – rimasto incorrotto per secoli, ma che i palermitani solo a metà ‘800 sarebbero riusciti a storpiare in Danisinni. A testimonianza di ciò, la cosiddetta “Carta di Palermo” redatta a Londra nel 1826 da William Henry Smyth, idrografo della Royal Navy di sua maestà, dove si legge dell’esistenza in zona di una: “fonte d’acqua chiamata ancora Ayn Sindi“.

Il quartiere degli schiavoni e il Capo

Il quartiere degli schiavoni si estese nel tempo, fino a raggiungere la zona dove sorge il mercato del Capo, il cui nome deriva da “sari-al-qadi” (Seralcadio) prendendo nome dalla strada per giungere all’abitazione del “qāḍī” o cadì (colui che decide) il magistrato musulmano che amministrava la giustizia. Per giungere a questa, da entro le mura, bisognava uscire da una porta (la stessa che nel XII sec. venne ribattezzata di Sant’Agata alla Guilla, e successivamente abbattuta nel XV sec.), e attraversare il fiume Papireto nella sua parte più agevole “Wadi” (guado), storpiato in “guid” poi “guidda” e successivamente in Guilla, (così come arriva fino a noi).

Quindi occorreva percorrere la strada in salita, fino alla sua parte più alta, successivamente detta “caput Seralcadi“, che era posta nella parte nord-occidentale del quartiere.

Questa altura, coinciderebbe con quella zona sopraelevata dove sorge l’attuale chiesa della Mercede al Capo, il cui primo impianto, poi andato distrutto, vide la luce nel 1088, in epoca Normanna, come chiesa di Sant’Anna di Porto Salvo. In pratica, siamo esattamente di fronte al famoso (ormai ex), panificio Morello, noto per la sua insegna mosaicata in stile liberty, raffigurante la dea Demetra, la cosiddetta “Pupa ru Capu“.

Chiesa della Mercede al Capo
trolvag, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
Chiesa della Mercede al Capo

La chiesa, trovandosi nell’allora zona limitrofa al porto, sulle rive del fiume Papireto, grazie anche all’altura sulla quale era stata edificata, risultava ben visibile pure dal mare.

Il Papireto

Nei pressi della sorgente, nella zona chiamata Danisinni, il fiume formava una specie di stagno, dove crescevano rigogliose le piante di papiro, realizzando esattamente un papireto (dal quale prese nome il fiume). Dopo aver attraversato i terreni che costeggiavano la città, il corso d’acqua sfociava in mare, in un percorso quasi parallelo al suo gemello Kemonia, che aveva origine poco distante, in una zona che solo secoli dopo venne chiamata “Fossa della Garofala“; (dal XV sec., dal nome del proprietario del terreno: Onofrio Garofalo ndr).

Gli allagamenti del Papireto

Con il trascorrere degli anni, che videro lo sviluppo dell’urbanizzazione anche fuori dalle mura, la situazione idrica relativa al bacino del Papireto cominciò a destare non poche preoccupazioni. Il clima era cambiato e le piogge divennero più cospicue. Il fiume si ingrossava enormemente sotto le piogge invernali, straripando dai suoi argini naturali, e allagando tutte le zone circostanti. Questo cominciava a creare problemi anche alle coltivazioni che, nel frattempo, erano sorte nei suoi pressi.

Di contro, nei periodi asciutti, i due fiumi cominciavano a soffrire la mancanza d’acqua. Nel tempo questa tendenza al clima secco si radicò, fino a farli quasi scomparire. I loro alvei, di dimensioni prima proporzionati alle grandi portate d’acqua, rimanendo per lungo tempo quasi asciutti, cominciarono ad interrarsi. Insomma, la siccità era già cominciata.

La malaria

Facciamo un salto temporale, e arriviamo alla fine del ‘400, per scoprire che sempre nella zona dei Danisinni, a causa di quel ristagno delle acque all’interno della depressione, si stava determinando un altro grave problema, stavolta di carattere sanitario. Tra l’altro, il continuo inaridimento del clima aveva portato alla forte diminuzione del flusso delle acque che alimentavano il fiume, creando altri ristagni maleodoranti.

Negli anni, in seguito ad una lunga serie di inspiegabili morti avvenute nella zona, si cominciò a pensare che le cause, fino a quel momento incomprensibili, potevano essere collegate alla presenza delle acque del fiume, ed alle paludi che si creavano attorno al suo corso. Di questo argomento ne ho scritto a 👉questa pagina.

Già nel 1447, il Senato palermitano aveva disposto un intervento, a salvaguardia della salute pubblica, per prosciugare la maleodorante palude, perchè gli olezzi che emanava appestavano l’aria. Per questo, diede incarico all’università cittadina di “Murari lu Papiritu“. Ma l’esito del progetto non fu sufficiente a risolvere il problema. E tutto venne rinviato ad un ulteriore intervento di maggiore portata, sancito con un bando del Senato nel 1498:

“S’avissi far siccari l’acqua di lu Papiritu dintra la città, per la sanitati di li cittadini”.

Anche questo, però, senza esiti confortanti. Infatti, dopo aver tentato di colmare con della terra l’alveo del fiume, l’area interessata si trasformò ben presto in un grande pantano di fango.

Ma, come sopra accennato, ci volle del tempo per dipanare questa matassa. Quindi lasciamo quell’epoca e facciamo un altro lungo salto, per arrivare alla metà del ‘500, in piena epoca di dominio spagnolo. In quel momento, Palermo era già una grande città, protetta da possenti bastioni, eretti a sua difesa.

L’alluvione del ‘500

Frattanto, il 27 Settembre del 1557, in seguito a svariate giornate di fortissima pioggia insistente, che alimentò i due fiumi in maniera abnorme, si verificò una catastrofica alluvione che devastò la città. Ciò convinse sempre più i palermitani che bisognava intervenire drasticamente e risolvere il problema.

Il dottor Ingrassia

In quel periodo, dopo che per lunghissimo tempo le epidemie di malaria continuarono in successive ondate a mietere vittime, fu solo grazie all’intervento incidentale del protomedico Giovanni Filippo Ingrassia che si potè risolvere il problema.

Il luminare, incaricato dalle autorità cittadine, dopo aver studiato le misteriose morti in quella specifica zona, con una geniale intuizione, suggerì di far incanalare le acque del fiume Papireto in un condotto sotterraneo. Motivando: “a salvaguardia della salute pubblica“. Un espediente che avrebbe in teoria eliminato il problema epidemico e anche quello delle temute alluvioni.

Curiosità: proprio al dott. Ingrassia, si deve la scoperta di un piccolo osso presente nell’orecchio, il più piccolo del corpo umano: la staffa.

Grazie alle raccomandazioni del dott. Ingrassia, l’opera idraulica suggerita, vide la luce solo nel 1591, su ordine del vicerè Diego Enríquez de Guzmán, eseguito dal Pretore Salazar.

Si decretò così la fine di tutte le misteriose morti. Senza però, capirne esattamente quale ne fosse l’origine. Sull’argomento sono nate molte storie curiose. Di una tra queste, particolarmente bizzarra, ne ho già scritto a 👉questa pagina.

Il parassita

Soltanto in epoche successive si è arrivati alla conclusione che la vera causa della misteriosa malattia, e delle inspiegabili morti, era un parassita che infestava un particolare tipo di zanzare, del genere Anopheles, molto comuni nella palude.

Zanzara Anopheles, potenziale portatrice del parassita responsabile della malaria

Attraverso le punture di questi insetti, il parassita giungeva all’uomo causando la malaria. Questa esordiva con una tipica febbre alta, detta febbre terzana, (chiamata così perchè compariva ogni tre giorni) e, in assenza di rimedi specifici, molto spesso conduceva i malcapitati alla morte.

Chi volesse approfondire l’argomento potrà attingere ad ulteriori notizie sulla malaria a 👉questa pagina.

Papireto, il fiume nascosto

Il Papireto, però, da quel momento finì di scorrere all’aperto, perchè il suo corso, come detto, venne completamente interrato in un canalone artificiale, per tutto il suo sviluppo, fino al mare.

Il canale sotterraneo del Papireto
Il canale sotterraneo in cui scorre il Papireto

Di ciò che restava dell’antico fiume, un tempo navigabile, fu lasciata scoperta soltanto una piccola parte, presso la sua sorgente, ad uso dei cavatori di tufo (pirriatura) della vicina pirrera (cava) e della gente che abitava in zona. La pietra cavata in questa zona venne utilizzata per la costruzione del Palazzo dei Normanni e, successivamente anche del teatro Massimo. Tra le persone che usufruivano dell’acqua della sorgente, vi erano anche le lavandaie che operavano al servizio delle nobili famiglie che abitavano entro le mura.

Questa attività, tradizionale per le donne dei Danisinni, sopravvisse fino alla fine dell’800, tanto che il Comune, in quel periodo, riconoscendone de facto l’utilità, proprio lì fece costruire un pubblico lavatoio il cui rudere, ormai cinto da costruzioni abusive, è in parte ancora oggi riconoscibile.

Papireto, il fiume nascosto - La sorgente del Papireto ai Danisinni
Donne fanno il bucato alla sorgente del Papireto – Danisinni – primi del ‘900

A truvatura

Piccola parentesi. Giusto per curiosità più che per completezza di informazione, voglio fare un accenno ad una leggenda popolare che parla di un tesoro. Questo si troverebbe ancora sepolto da qualche parte ai Danisinni, nei pressi dell’antica sorgente. Fatto sta che nell’800, e fino ai primi anni del ‘900, in molti si interessarono ad un misterioso tesoro saraceno, la cosiddetta ‘truvatura’; forse la sepoltura di un nobile arabo che avrebbe custodito anche il suo tesoro. Tesoro che, ovviamente, non venne mai ritrovato.

Il nuovo corso del fiume

Inizia così la vita sotterranea di questo tormentato corso d’acqua che ancora oggi, dopo innumerevoli interventi e modifiche alle strutture del canale, scorre quasi silente, come un fantasma, sotto i piedi dei tanti palermitani che abitano lungo il suo percorso.

Quindi, il fiume è nascosto, ma è ancora vivo. E questo ce lo dimostra ad ogni forte pioggia, che ingrossandone il volume delle acque, lo fanno letteralmente esplodere fino a farlo venir fuori dal sottosuolo, allagando le nostre strade.

Le spiacevoli situazioni che si verificano ciclicamente in alcune strade lungo il suo corso, alle prime forti piogge dell’autunno, ne sono la diretta conseguenza. Parliamo della zona della via Colonna Rotta, via Imera, piazza Peranni, via Papireto, piazza Santo Nofrio, e via Venezia. Tutte lungo il suo antico corso che ancora oggi, appena può, il fiume tenta di riconquistare. E, badate bene, il Papireto questo lo fa da sempre. O, meglio, almeno da quando è stato incanalato sotto terra. Infatti, succede che quando d’inverno il suo flusso d’acqua di ingrossa, questo porta con se detriti di vario genere che intasando il canale sotterraneo, provocano la inevitabile fuoriuscita delle acque e l’allagamento delle zone circostanti.

Ciò al netto delle clamorose inerzie della nostra pubblica amministrazione nell’eseguire i necessari lavori, con cantieri infiniti che, ormai da tempo, bloccano la circolazione in quella zona, proprio a causa del fiume.

Di altri allagamenti periodici che si verificano in città, ne ho parlato a 👉questa pagina.

I lavori del nuovo collettore fognario

Per completare la trattazione dell’argomento, non posso esimermi dal dirvi che il canalone sotterraneo in cui scorre il Papireto, è ormai ridotto al rango di fogna. Ciò avviene da secoli, a causa degli innumerevoli sversamenti di acque nere che, ancora oggi, abusivamente, conferiscono lungo tutto il suo corso, fino allo sbocco in mare.

Fino a qualche anno fa, i continui sversamenti di acque putride, determinavano il puzzo di fogna e l’inquinamento delle acque all’interno del porticciolo della Cala, dove il canale aveva sbocco. Chi, come me, comincia ad avere qualche anno sulle spalle, ricorderà certamente degli olezzi di “Porta Carbone”, e il fatto che non si poteva passare da lì senza preventivamente tapparsi il naso. Cosa che ormai, da quando lo sbocco del Papireto è stato deviato verso il nuovo collettore fognario (questo non interamente completato), non avviene più. O, meglio, non dovrebbe più avvenire.

Una foto d’epoca

Concludo con una particolare foto del fiume Papireto, in una delle tante volte in cui ha fatto la sua ricomparsa, stavolta nel bel mezzo di via Roma. Siamo nel lontano febbraio del 1931, e in quell’occasione, dopo giorni di pioggia incessante, il fiume gettò parecchio scompiglio tra la gente, causando gravi danni, esattamente all’altezza della Vuccirìa.
Così mi ha raccontato tempo fa, l’amico Gaetano Basile: “un tempo, da bambino, adagiavo l’orecchio sulle basole di via Argenteria, e potevo udire il fragore dell’acqua, che scorreva alcuni metri sotto la pavimentazione della strada“.
Troverete un articolo sul memorabile evento del 1931 e di via Roma a 👉questa pagina.

Alluvione di Palermo del 1931
Allagamenti in via Roma – Palermo, 1931

Un Papireto meno misterioso

Siamo giunti alla fine. Non so quanti di voi ho perso strada facendo, (mea culpa): spero pochi. Ma se siete arrivati a leggermi fin qui, beh… il coraggio certo non vi manca, e vi ringrazio davvero per questo.

L’argomento era vasto, ma abbiamo pure avuto il tempo per permetterci qualche piccola divagazione sul tema centrale, che spero abbiate gradito, alla scoperta di qualche aspetto meno noto della nostra città, sempre in relazione al fiume. Ma, soprattutto, auspico che la storia del nostro, (adesso un pò meno misterioso) Papireto, abbia catturato la vostra curiosità, suggerendovi di approfondire maggiormente la sua conoscenza e la sua storia. Questo è l’unico scopo del blog.

P.S.: immagino che da questo momento, quanti tra voi si ritroveranno, in pieno inverno, impantanati nelle strade limitrofe al Papireto, storceranno si il naso (e mi sembra il minimo), ma forse lo faranno con una maggiore consapevolezza di ciò sta accadendo intorno e sotto i loro piedi e di quello che è stato, e non è stato fatto.

Dove si trova?


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