Palermo senz’acqua

Palermo senz’acqua non era più un’emergenza, piuttosto una “normalenza”. Palermo aveva sete, ma non solo d’acqua… anche di normalità, che ancora non ha.

Palermo senz'acqua - Silos per l'acqua allo Zen (Foto © Franco Lannino)
Silos per l’acqua allo Zen (Foto © Franco Lannino)

Con la stagione estiva, torna ad aleggiare nell’aria lo spettro della siccità. I telegiornali danno ogni giorno notizie in tal senso, a cominciare dal nord del nostro paese che già soffre della siccità e della conseguente crisi idrica.
E questo avviene già da metà giugno.

La storia

Ho avuto la fortuna di nascere nei primi anni ’60, ben lontano dalla guerra, e in un periodo in cui la ricostruzione era cosa fatta. Ovviamente ciò era stato realizzato non in tutti i sensi, o in ogni settore. E non completamente al sud. Ma, figuriamoci, ancor meno a Palermo.

In città, in quel periodo ancora resistevano le macerie dei bombardamenti, non tutte, sia chiaro, ma una certa collezione la potevamo ancora vantare.

Infatti, anche se le strade e le piazze erano state sostanzialmente ricostruite da un pezzo, noi palermitani da bravi nostalgici, ci affezionavamo alle cose. Quindi certe “sacche” di macerie ce le siamo tenute e, in qualche caso, continuiamo ancora a farlo.

In città, negli anni ’60, funzionava quasi tutto. Tutto tranne alcune cose di importanza fondamentale come gli ospedali, i servizi comunali e l’erogazione idrica. Giusto per fare tre esempi su tutti.

Proprio così, a Palermo se avevi bisogno di cure in ospedale era un bel problema (non che oggi non lo sia)… ma ad esempio, la degenza non durava mai meno di 1 mese e, posto che si riuscisse a trovare un letto disponibile in corsia, dovevi portarti lenzuola cuscini, coperte e cibo da casa.

E anche chi ti cambiava e, se del caso, ti accudiva o sorvegliava di notte, o chi ti dava da mangiare, dovevi portartarlo pure da casa. Il medico, almeno quello, te lo forniva la USL.

Ma a tutto il resto dovevi provvedere tu. Se potevi, pagando. Altrimenti ti arrangiavi.

Se ti serviva un certificato anagrafico, dovevi pagare qualcuno che “saltava la fila”, altrimenti due giorni di code non sarebbero bastati. Ma anche oggi, malgrado la decantata informatizzazione, non va affatto bene. Oggi si prenota, ma a volte occorrono mesi per concludere.

Palermo senz’acqua

E, argomento tornato alla ribalta, sempre a Palermo, mancava l’acqua… e noi palermitani nostalgici, ci siamo dovuti affezionare anche a questa meraviglia, e ad altro ancora.

E la chiamavano (lo fanno ancora) “emergenza idrica“. Si, perchè al sud, e a Palermo in particolar modo, le emergenze sono imperiture… sono la normalità con cui convivere, in tutti i settori. Io le chiamo “Norma-lenze”.

Le turnazioni

A casa mia, a dire il vero, eravamo “fortunati”. L’acqua arrivava per ben tre ore al mattino, dalle 05:00 alle 08:00, minuto più, minuto meno. Un giorno si e uno no.

Ma a casa mia era tutto organizzato, come i proverbiali treni in Svizzera. Intanto, la sveglia era alle 4:30. Povera donna, mia madre, costretta a contare pure i secondi di permanenza in bagno.

A lei era demandato l’ingrato compito della vigilanza sui tempi e l’inevitabile “tuppuliata” nella porta del bagno al ritardatario di turno… chiuso li dentro da ben 15 minuti! E quando si è in quattro, il totale potenziale sarebbe potuto arrivare a 60 minuti… un’eternità! Toc, toc… spicciati ch’è tardi!

Tutto era regolato al millesimo di secondo: il momento per andare in bagno, quello per lavarsi, quello per pulire casa e fare il bucato, riempire le bottiglie, bidoni, cisterne varie e la vasca da bagno. Insomma, si era costretti a fare tutto, scorte comprese, prima che si facessero le otto, rischiando di restare all’asciutto per le successive 48 ore. Solo allora, si poteva uscire da casa… ma non senza aver prima riempito d’acqua la pignata per poi cuocervi la pasta!

E tutto doveva andar bene, perchè, capitava pure che per ragioni sconosciute qualche turno di erogazione ritardava, veniva ridotto, oppure addirittura saltava… e, come per magia, i giorni all’asciutto potevano diventare tre.

La nostra fortuna era che all’epoca vivevamo quasi tutto il giorno in negozio che, miracolosamente, si trovava in una zona dove l’acqua non mancava. Ma c’è chi era costretto a vivere in quelle condizioni, decisamente poco invidiabili. Il fatto è che ci abituiamo a tutto. E, col tempo, ci eravamo abituati pure a questo.

Questa era la normalità… la “normal-enza” durata decenni.

Ma c’era di peggio

Già, devo dire che in seguito, le cose sono cambiate… si… in peggio.

Alla fine degli anni ’80, per un lungo periodo, i giorni di erogazione divennero due la settimana. A quel punto dovemmo organizzarci con grandi serbatoi, così come avvenne in tutta la città.

E così si andò avanti per anni, con una rete colabrodo e innumerevoli allacci abusivi, con perdite stimate di oltre il 50% del prezioso liquido immesso in rete. Quantità che comunque non era sufficiente a coprire i fabbisogni di una città che, negli ultimi decenni, aveva registrato una forte espansione (leggi sacco di Palermo).

Ricordo che in quel periodo idraulici e rivenditori/installatori di serbatoi, fecero affari d’oro.

Comunque, eravamo fortunati perchè in alcune zone, specialmente nelle periferie, l’acqua arrivava una sola volta a settimana, e in alcuni quartieri, non arrivava proprio, e ciò avveniva da sempre. Li, l’unica soluzione erano le autobotti o pregare che venisse giù copiosa dal cielo.

Gente in fila per l'acqua
Gente in fila per l’acqua davanti all’autobotte. (Foto © Franco Lannino)

I pozzi artesiani

C’era pure chi scavava abusivamente dei pozzi artesiani non solo in campagna, ma anche nelle cantine dei condomini, per tentare di captare una falda di preziosissima acqua.

In tanti, vennero scoperti e denunciati per questo. Con la conseguenza diretta del sequestro del pozzo per ragioni sanitarie. Insomma, la gente era veramente disperata e le provava davvero tutte. Anche a costo del rischio di captare dal sottosuolo acque di falda, potenzialmente inquinate dalle fogne. Un vero disastro.

L’unica cosa puntuale era la bolletta da pagare. Quella si. Ricordo ancora mio padre che della bolletta ne “decantava” le doti di precisione, puntualità e infallibilità. Questo, ovviamente, intercalandole tra un’imprecazione e l’altra, sant’uomo.

In pratica, non si sapeva cosa stavi pagando ma, il totale da pagare era sempre scritto in modo chiaro, ben visibile, e inequivocabile: in neretto. Al contrario di adesso, che in bolleta riportano 20.000 dati e comunque, non si capisce niente lo stesso… solo la cifra che dovrai pagare e la data di scadenza. Tanto ci deve bastare.

Così andava.

Questo lungo preambolo è utile ad addentrarci un pò nel problema. E lo faremo spostando il calendario un pò più avanti. Esattamente tra la metà degli anni ’80 e i primi del ’90.

Palermo negli anni ’90, l’anno dei mondiali

Erano gli anni dei mondiali di calcio, Italia ’90, e Palermo da li a poco sarebbe stata città ospite di alcune partite.

In quella occasione si fece a gara per portare a termine alcune grandi opere ritenute necessarie.

Venne riconfigurato e ingrandito lo stadio (purtroppo con cinque vittime tra gli operai del cantiere), prolungata via Libertà oltre la “statua”, ultimato lo svincolo di via Belgio, creata la grande rotatoria tra le vie De Gasperi e Crocerossa (odierna piazza Giovanni Paolo II) e realizzate tante opere minori, tutte propedeutiche alla fruizione degli impianti sportivi e ad accogliere le migliaia di tifosi che erano attese per l’evento.

Si pensò pure a realizzare una finta metropolitana, utilizzando una vecchia linea merci già esistente, la Palermo Centrale – Giachery, ancora in funzione.
Insomma, alla fine arrivarono e si spesero una montagna di soldi.

Ma proprio in quegli anni, mentre una parte della città si rifaceva il look in occasione dei mondiali, nessuno si curò del fatto che in moltissimi quartieri mancava l’acqua, e che le persone erano costrette a fare lunghe file, anche più volte al giorno, con i bidoni in mano.

E, credetemi, qualcuno tra voi lo ricorderà, questo non avveniva solo nei quartieri dell’estrema periferia, ma anche in zone centrali.

I silos nella Palermo senz’acqua

Momenti indimenticabili, quelli trascorsi ai silos con i bidoni in mano. Tutti in fila davanti ai grandi serbatoi di acciaio inox che il Comune aveva fatto installare, giusto per metterci una pezza.

Questo nell’attesa di rifare la rete idrica, che era un colabrodo, e pensare a diminuire le perdite: vero problema endemico per cui, ovviamente, mancavano i fondi, e forse anche un vero progetto. Ma questo problema poteva aspettare. Tanto la gente si arrangiava da se.

Silos dell'acqua al quartiere Zen
Silos dell’acqua al quartiere Zen di Palermo (Foto © Franco Lannino)

Ovviamente i Silos erano sistematicamente alla mercè di chi, ad esempio, passava più volte di notte con il furgone per riempire enormi cisterne d’acqua. Prezioso liquido che avrebbe poi rivenduto abusivamente la dove l’erogazione nelle case era solo un miraggio.

Silos dove qualcun altro, sempre nottetempo, passava per rubare i rubinetti che vi erano installati, per poi rivenderli a pochi spiccioli. E lo faceva sostituendoli con dei tappi (almeno questo) ma aumentando le difficoltà della gente assetata, a causa dell’equazione ( rubinetti = – punti di prelievo disponibili = file interminabili e attese più lunghe). Ma l’idea era: chi se ne frega degli altri! Io m’è futtiri u cannuolu!

Insomma, a Palermo funzionava così, quando funzionava. Ma quando, e la dove, l’acqua arrivava, si poteva incappare in sorprese non certo più gradevoli di queste.

L’ospite odierno

Di questo, ce ne parlerà brevemente, con un piccolo aneddoto, ma ce lo dimostrerà efficacemente con le sue straordinarie immagini, il nostro amico fotoreporter Franco Lannino. Sue sono le foto dei silos e dell’autobotte pubblicate in questa pagina, specchio di quella realtà, per fortuna ormai scomparsa ma che ancora si insinua nei pensieri estivi di molti palermitani che questa storia l’hanno vissuta in prima persona.

Franco è il graditissimo ospite di oggi, tra le pagine di “Amici di Cara Palermo“.

Classe 1959, giornalista pubblicista, Franco Lannino inizia a fotografare in maniera professionale nel 1978, presso l’Agenzia fotografica “Publifoto“. Nel 1989, assieme al collega Michele Naccari, fonda l’Agenzia di fotogiornalismo “Studio Camera” attraverso la quale inizia la collaborazione con il quotidiano L’Ora di Palermo. Ha pubblicato innumerevoli fotografie su decine di testate giornalistiche, nazionali ed internazionali. Oggi, è fotografo di scena del Teatro Massimo di Palermo …

Il ricordo di Franco

Quando avevo sette anni abitavo in via Oreto. Allora si beveva acqua dai rubinetti.

La minerale era solo per i ricchi.

Un pomeriggio avevo sete e misi il palmo della mano sotto il rubinetto del lavello. La manina mi si annerì, e un nauseabondo odore di nafta si sprigionò dal “cannolo”.

Richiamai l’attenzione di mia madre che urlando mi disse di non bere.

Ricordo che ci fu una sommossa generale nel quartiere, candidamente l’acquedotto ammise che c’era stata una contaminazione.

Da allora non ho mai più bevuto da un rubinetto, in nessun posto del mondo. Neppure da una fontana.

Solo acqua imbottigliata. Ecco, questa è la situazione idrica in città. Nessuna fiducia. Mai!!!

Franco Lannino

E, questa, era la situazione in quegli anni.

Dalla Palermo assetata degli anni ’60, ’70, ’80, ’90 è tutto.


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