Porta Nuova, l’alcova del vicerè

la Porta Nuova, venne realizzata nel 1535 per accogliere trionfalmente Carlo V di Spagna, reduce dalla vittoria per la conquista di Tunisi. Nel tempo, la monumentale porta ha subito diverse modifiche.

Porta Nuova, in una rara foto del 1865
Porta Nuova, in una rara foto del 1865

La storia

La porta, edificata accanto al palazzo reale, su progetto dell’architetto Giorgio Di Faccio, sostituì un varco già esistente nella cinta muraria, risalente al 1460, come documenta Tommaso Fazello nei suoi scritti.

Rivolta verso Monreale, e subito battezzata dal popolo come Porta Nuova, costituì il più importante accesso alla città di Palermo.

Quasi cinquant’anni dopo, si pensò che il suo aspetto poteva essere migliorato, al fine di renderlo adatto a celebrare il trionfo sulle armate turche del nuovo sovrano, Filippo II, (figlio di Carlo V).

Porta Nuova in uno scatto del 1906
Porta Nuova in uno scatto del 1906

Infatti nel 1583, l’allora vicerè, l’immancabile Marcantonio Colonna, colse l’occasione per modificarla, aumentandone gli ordini di sopraelevazione. Nel far ciò, il Marcantonio, pensò bene di predisporre il tutto in modo che nell’ultimo ordine si realizzasse anche la sua personale alcova: un luogo dove incontrare (in gran segreto?) la bella amante Eufrosina Valdaura, baronessa del Miserendino.

Il vicerè conobbe Eufrosina Valdaura ad un ricevimento, e tra i due fu subito colpo di fulmine. Noncurante della sua posizione, Marcantonio Colonna cominciò a farle una corte spietata. Corte che Eufrosina, anche lei sposata, non rifiutò e… in breve tra i due nacque una passione travolgente.

"Colpo di vento" di Gaetano Bellei (collezione privata)
“Colpo di vento” di Gaetano Bellei (collezione privata)

La tresca con la bella Eufrosina

Del fatto di corna, ampiamente decantato, ne abbiamo già parlato a questa pagina in un articolo dal titolo “Storie di corna a porta Felice“. Ma c’è un aneddoto particolare in questa storia, che non tutti conoscono e su cui abbiamo prima sorvolato. Però, stavolta, ci soffermeremo proprio su quello.

Questo riguarda la, tanto discussa e malcelata, relazione extraconiugale tra il vicerè e la bella Eufrosina. E, nella fattispecie, dovrebbe far chiarezza sull’ipotesi che donna Felice Orsini, moglie del vicerè, fosse in realtà al corrente di tutto.

L’aneddoto delle tappine

Si racconta che il vicerè fosse solito incontrare la bella Eufrosina, non esattamente in gran segreto. E che ciò accadesse spesso anche nelle stanze che egli stesso aveva fatto predisporre a questo scopo, proprio nell’ultimo ordine della Porta Nuova, appena rinnovata. Un’alcova in una posizione super privilegiata, con vista dall’alto sull’intero Cassaro fino al mare.

Insomma, un bel superattico con tutti i confort, dove consumare notti infuocate di passione. Roba da vicerè, non certo per comuni mortali.

E proprio una di quelle infuocate notti la viceregina, donna Felice Orsini, che pare soffrisse di occasionali insonnie e fischiamenti vari di orecchie, pizzicò i due amanti nell’alcova, giusto mentre questi erano intenti ad… (ammirare la collezione di farfalle?).

Ma per un non chiaro “colpo di fortuna” l’Eufrosina, che aveva un udito molto fine, sentendola arrivare, in un lampo balzò giù dal letto, e avvolta da un lenzuolo tentò una fuga in fretta e furia verso il balcone.

Donna Felice, sapendo esattamente cosa stava succedendo, piombò nella stanza un attimo dopo, e con una veloce occhiata, scorse per terra un paio di graziose ciabattine da donna, propio davanti al letto. Mentre il Marcantonio, immobile, non sapeva a che santo votarsi per tentare di farla franca anche stavolta.

Rivolgendosi al marito, che era ancora trafelato e paonazzo per la sorpresa, chiese se quelle ciabatte così carine, davanti al letto, fossero un suo regalo per lei. Ovviamente, lui rispose di si.

Ma donna Felice, che conosceva bene il gioco del marito, non la bevve affatto. E mentre fece per annuire con la testa si avviò verso il balcone, dove trovò l’Eufrosina intenta a nascondersi dietro ad una spinosa pianta grassa. Ahi!

A questo punto, tutti noi ci saremmo aspettati il botto! … e invece, no. Malgrado la scoperta delle “tappine” la nobildonna non diede all’Eufrosina della “Tappinara“. Anzi!

Una gran signora

Piuttosto, donna Felice, da gran signora, ancor prima che viceregina, si rivolse a lei esclamando con una certa calma e voce suadente: “Temo che stavolta dovrete pazientare. Per questa notte mio marito lo voglio per me”.

Eufrosina restò impietrita.

Ma non fini così. Donna Felice, inaspettatamente, dispose di farla riaccompagnare a casa da una carrozza.

Ecco, questo è quello che successe quella notte, e che molti non sanno. Ehmmm… no… forse qualcuno resterà deluso ma, niente “cose a tre”.

Torniamo alla Porta Nuova

Andando avanti nel tempo, nel 1667, si verificò un episodio inatteso. All’interno di Porta Nuova, avvenne una forte esplosione causata da un certo quantitativo di munizioni che vi erano stipate. Munizioni che erano in uso ai soldati posti a guardia della porta e delle mura cittadine. La deflagrazione arrecò grossi danni alla struttura della porta.

La ricostruzione

Pochi anni dopo ebbe luogo la ricostruzione, su progetto dell’architetto/scultore Gaspare Guercio. A lui si deve oltre la ricostruzione totale delle parti distrutte dall’esplosione, anche la realizzazione delle due coppie di mori collocati nei due piloni della porta. Questi simboleggiano il trionfo in Africa di Carlo V.

I quattro mori di Gaspare Guercio
La porta Nuova e i quattro mori di Gaspare Guercio

Successivamente, alla mano di tale Onofrio Cosentino si deve la decorazione con la cosiddetta aquila senatoria, sulla cuspide piramidale che sormonta la porta.

Piccola nota conclusiva. La domanda sorge spontanea: questo articolo lascia in sospeso un punto: l’origine, ma anche il significato della parola siciliana “Tappinara” (donna di facili costumi), sarà stata coniata proprio in questo frangente? Insomma… ci curpa a tappina?

La risposta è Nì. Nel senso che “Tappinara” in effetti è comunemente rivolto a chi pratica il mestiere più antico del mondo. Ma l’epiteto non fu inventato in quella occasione a Porta Nuova. Piuttosto, chi faceva questo tipo di attività, per questioni pratiche, durante le ore di lavoro restava in ciabatte, spesso per tutto il giorno. Questo permetteva, al bisogno, di spostarsi comodamente dalla zona di attesa fino alla camera dove si “consumava”, agevolando le operazioni preliminari. Da li, “tappinara”, inteso come colei che indossava sempre le tappine (ciabatte).

Dove si trova?


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