Monte Pellegrino e la Santuzza. – Il monte è da sempre visto con occhio affettuoso da ogni palermitano. Un luogo di grande importanza che domina la città e dalla cui sommità la Santuzza Rosalia veglia su di noi e ci protegge da secoli.
La storia
Il monte, appena un po’ più alto di 600 mt, fin dall’antichità era chiamato Erkte dai greci, a causa della sua ripidità.
Solo successivamente è stato ribattezzato Peregrinus (ostile) dai romani i quali, per ben tre anni (attorno al 247 a.c.), tra le sue rocce impervie subirono lo scacco dai cartaginesi.
Questi ultimi, guidati dal loro astuto comandante Amilcare Barca e da suo figlio, Annibale, venuto a dargli man forte, vi si erano tenacemente asserragliati, nel tentativo di conquistare Palermo. Tentativo poi fallito.
Curiosità: in epoca araba il monte venne ribattezzato Bulkrin (vicino).
Sul monte Pellegrino, la dea Tanit
Del “promontorio più bello del mondo” (secondo Goethe) è utile ricordare che già nell’antichità era stato luogo di culto dedicato alla divinità punica Tanit, dea pagana che simboleggiava la fertilità (400 – 250 a.C.).
Questo dato è testimoniato da una primordiale edicola votiva a lei dedicata, successivamente trasformata in cappella cristiana. Tracce dell’esistenza di quest’ultima erano presenti proprio all’interno della famosa grotta, oggi meta dei devoti pellegrini.
Anche da questo ritrovamento, si evince che il monte Pellegrino vanta una storia ricca di eventi, risalente alla notte dei tempi. Storie che si intrecciano con la devozione ed il culto di antichissime divinità pagane.
Conferma di tutto ciò si ha anche dalle ricerche storiche di Vittorio Giustolisi che ci parla “… dell’esistenza nella grotta di un antico culto dell’acqua salutare che si personificava in origine in una ninfa, successivamente interpretata da una divinità ellenica molto simile all’Atena Kronia, da Tanit, da Iside, dalla Madonna e infine da S. Rosalia…” (Topografia Storia e Archeologia di Monte Pellegrino – Palermo 1979).
Quindi, ben prima della nascita del culto per la nostra Santuzza, Rosalia Sinibaldi, che visse a Palermo tra il 1130 ed il 1170, (durante il Regno di Sicilia di Guglielmo I il Malo), il luogo era già meta di preghiera dei devoti di antichi culti.
Monte Pellegrino e la Santuzza
A questo punto, con un salto temporale, giungiamo in epoche a noi relativamente più vicine.
La prima testimonianza di un luogo di culto dedicato effettivamente alla Santuzza risale al 1180, (dieci anni dopo la morte di Rosalia Sinibaldi) epoca in cui i Giurati della città fecero erigere sul monte, proprio nei pressi dell’odierno santuario, una cappella a lei dedicata.
Particolare, questo, testimoniato anche dal fatto che in occasione di una epidemia di peste, che dilagò in città nel 1474, (quasi due secoli prima di quella ben più nota del maggio 1624), il Senato palermitano dispose di: “… restaurare la esistente chiesa sul monte Pellegrino, ormai diruta, e dedicata a Santa Rosalia, al fine di chiedere il suo aiuto nello sconfiggere la peste“.
Da notare che queste ondate epidemiche non furono certo le prime, o le uniche, nella storia della nostra città, e che la Santa era già stata invocata e coinvolta più volte nella liberazione dai flagelli epidemici.
Possiamo quindi affermare che nel 1624, durante il culmine dell’ennesima e tristemente famosa epidemia di peste che falcidiò i palermitani, si ebbe solo l’ultima testimonianza del suo “intervento miracoloso che salvò la città”.
La statua della Santuzza sul monte Pellegrino
La forte devozione verso la Santuzza miracolosa spinse il Senato cittadino ed i palermitani tutti, a proclamare la Santuzza patrona della città, e ad erigere una statua in suo onore sul monte Pellegrino. Questa, diventata a sua volta meta di peregrinaggio.
La statua della Santa protettrice di Palermo si trova, ancora oggi, su un punto panoramico del monte che domina parte della città ed il mare. Un punto scelto in modo che fosse ben visibile da lontano.
Quella attuale, in bronzo, è solo l’ultima delle statue erette in suo onore, in questo punto panoramico. Opera dello scultore Benedetto De Lisi Jr, commissionata dal Cardinale Ruffini nel 1963, l’odierna statua è stata preceduta da ben tre versioni in pietra.
La prima tra queste è datata 1624, successivamente sostituita nel 1750 con un’opera dello scultore Rosolino La Barbera, a sua volta sostituita con un’altra versione, nel 1880.
Perchè tutte queste statue?
La risposta è semplice: a causa della posizione, particolarmente esposta, le statue erano spesso colpite da fulmini e finivano sovente danneggiate o decapitate, quando non completamente distrutte. Allo scopo di prevenire questo tipo di inconveniente, la statua in bronzo ancora oggi esistente, è stata dotata di un parafulmine.
Piccola curiosità: la testa della statua in pietra del 1880, anch’essa andata distrutta, si trova ancora in loco, incastonata nel muro di contenimento, proprio alla base della piattaforma che fin dal 1624 ospitata tutte le statue della Santuzza.
L’inizio della peste
Facciamo un doveroso inciso per ricordare che l’inizio dell’ondata di peste del 1624, nella nostra città, ha avuto origine dall’attracco in porto di un bastimento carico di grano, proveniente dalla Tunisia. Va precisato che non era certamente il grano ad essere infetto, ma alcuni membri dell’equipaggio che erano stati verosimilmente morsi da un topo. Quest’ultimo è il portatore del batterio che è responsabile dell’infezione e della conseguente malattia che quasi sempre conduceva alla morte. E si sa… grano, topi e bastimenti, da sempre vanno a braccetto insieme. E quella volta, per nostra sfortuna, a loro si unì proprio la peste.
Il mancato rispetto delle regole
Già allora esistevano delle regole sanitarie che il comandante del porto doveva far rispettare a tutte le navi che intendevano attraccare, soprattutto se provenienti da terre lontane. In pratica tutti i bastimenti in arrivo venivano sottoposti ad una quarantena preventiva. Questa era imposta, proprio per ragioni sanitarie, allo scopo di impedire gli sbarchi incontrollati di persone potenzialmente infette, e il possibile dilagare di varie malattie in città.
Va ricordato che le epidemie, nei secoli scorsi, mietevano ciclicamente vittime in tutto il mondo conosciuto, quindi la prudenza era assolutamente d’obbligo.
Ma si sa… le regole sono fatte per venire infrante e/o aggirate. E, ovviamente, anche quella volta è andata così. Nei fatti, bastava pagare qualcuno che ne aveva potere, per ottenere il visto di ingresso in porto senza troppi problemi. E questo è proprio ciò che avvenne, e la terribile conseguenza è scritta nella nostra storia. Che dire… non siamo cambiati di una sola virgola.
Le ossa della Santa e la fine della peste
Leggenda vuole che dopo il “ritrovamento” delle sue ossa nella nota grotta sul monte Pellegrino, avvenuto il 15 luglio del 1624, queste vennero successivamente portate in processione.
L’urna d’argento
Il 3 marzo del 1625, il Senato palermitano commissionò la prima versione di un’apposita urna, rivolgendosi ai Maestri intagliatori Desiderio Pillitteri e Giovanni Di Pietro, ed al Maestro argentiere Francesco Lisco.
Il successivo 9 giugno, quasi ad un anno dal ritrovamento il corteo, con l’urna contenente le ossa di Rosalia, potè sfilare per le vie della città, chiedendo la liberazione dall’epidemia.
Il 4 settembre del 1625 si ricorda come la data precisa in cui il flagello della peste fu definitivamente sconfitto.
Come abbiamo visto, quello del 1625 non fu l’unico, ma solo l’ennesimo intervento della Santuzza in favore dei palermitani. Da allora, la devozione per la Santuzza non è mai messa in discussione e, anzi, ogni anno è rinnovata con grandi festeggiamenti, religiosi e di popolo.
La preghiera alla Santuzza
In rete ho trovato questa antica preghiera. Probabilmente veniva recitata dalle persone costrette all’isolamento, che si rivolgevano alla Santuzza affinchè intercedesse per sconfiggere la peste. Trovo queste strofe a dir poco struggenti ma, a tratti, riesco pure a trovarle molto attuali.
Bedda Santuzza mia, fammi ‘na grazia
sta pesti chi furria unn’è mai sazia.
Li guvirnanti si pigghiaru u mali,
comu i gadduzzi sunnu: tali e quali!
‘Nta li curtigghi a jurnata è ddura,
tra porta e porta isanu li mura.
E c’è cu s’inchi panza e casciaforti
e cu s’agghiutti feli finu a morti.
St’annu pi lu Fistinu nenti fochi e luci,
lassamu nne’ carteddi i babbaluci,
e nenti scacciu ri calia e simenza,
facemu tutti pinitenza.
T’imploru Bedda: sta genti talìa
Viva Palermu e Santa Rusulia!
L’acchianata al monte Pellegrino e la Santuzza
La tradizionale “acchianata a monti Piddirinu“, nella notte tra il 3 ed il 4 settembre (giorno dedicato alla Santa), benchè – difficile prova -, è molto partecipata. Il tradizionale omaggio alla “Santa Rosalia fuori le mura” è una delle testimonianze ancora vive della profonda devozione.
I devoti, rendendo omaggio per grazia ricevuta, o per promessa, ogni anno affrontano la salita per la cosiddetta scala vecchia, lungo un percorso tortuoso. Un cammino a volte fatto a piedi scalzi o, in ginocchio, che dopo non indifferenti sofferenze fisiche li porterà al santuario quasi in cima al monte.
Sospeso causa pandemia, negli anni 2020 e 2021, torna quest’anno l’antico rito di ringraziamento dell’ “acchianata” che si svolgerà regolarmente lungo la cosiddetta “scala vecchia”, fino al santuario.
La santuzza sul monte Pellegrino
Come già accennato, sul monte Pellegrino, a quota 429 mt slm, sorge l’odierno santuario che è stato edificato in onore della Santa nel XVII sec.
Costruito su preesistenti edifici religiosi, il santuario è la meta della tradizionale “acchianata” del 4 settembre.
L’edificio ospita al suo interno, nella famosa e suggestiva grotta, una bellissima statua della santuzza in posizione sdraiata. Si tratta di una realizzazzione in marmo di Carrara, datata 1625, opera dello scultore Gregorio Tedeschi.
Ricoperta d’oro e adornata con oggetti e monili di grande valore, tra i quali il crocifisso, il libro, il teschio e la corona di rose, la statua è divenuta l’iconica immagine della grande devozione.
Nello stesso edificio, inaugurata nel 2018 vi è una zona chiamata “le stanze del tesoro“, dove sono raccolti oggetti storici, artistici e religiosi.
Tra questi gli innumerevoli ex voto: riproduzioni di cuori, braccia, gambe, mani, ed altri oggetti simbolici, realizzati in oro e argento, portati in dono dai tantissimi fedeli, a testimonianza delle avvenute guarigioni, per intercessione di Rosalia.
L’ancora di Santa Rosalia
All’interno del santuario, trova posto una grande ancora, portata li da un devoto palermitano, tale Filippo Davì, nostromo di una nave mercantile che trasportava viveri e munizioni destinati alle truppe italiane impegnate sul fronte della prima guerra mondiale.
La storia racconta che il vascello fu silurato da un sommergibile tedesco, un temutissimo U-Boot.
Vi fu un’esplosione a bordo e l’imbarcazione si inclinò pericolosamente su un fianco. I morti si contarono a decine. I pochi superstiti riuscirono a sistemarsi su di una scialuppa e restarono per giorni alla deriva. Quando le speranze furono quasi perse, non c’era altro da fare che pregare. Filippo, molto devoto, chiese la grazia a Santa Rosalia, promettendo che se lui ed i suoi compagni fossero riusciti a farcela, avrebbero portato un dono, in processione, al santuario sul monte Pellegrino: una grande ancora.
E così fu. Filippo con le sue preghiere riuscì ad infondere fiducia nei suoi compagni e quando tutto sembrava perduto, miracolosamente, dopo quegli interminabili giorni di disperazione, una nave di rotta tra quelle acque li avvistò, e li raccolse. Riuscirono tutti a mettersi in salvo.
Alcuni anni dopo, attesa la fine della guerra, e la costruzione della strada carrabile per il santuario sul monte Pellegrino, Filippo ed i marinai sopravvissuti, a bordo di un carro, ruiscirono a trascinare una pesante ancora di bronzo fino al santuario. Concretizzarono così la promessa fatta, in segno di ringraziamento. Era il 1924.
(fonte: http://www.santuariosantarosalia.it)
Il crocifisso del ‘400
Sempre all’interno del santuario trova posto, alla destra del suo ingresso, un bellissimo crocifisso ligneo del ‘400. Un’opera molto suggestiva che lascia davvero senza fiato chi la osserva.
Ho avuto modo di fotografarlo una ventina di anni fa, ma non sono mai riuscito a reperire informazioni precise circa il suo autore, nè da quanto tempo si trova in quella sede o chi ce l’abbia portato.
L’unico dato che ritrovo riportato da più fonti è che il crocifisso risale al ‘400. Ma immagino che il Cristo, che vi è adagiato sopra, sia di fattura più recente. Purtroppo non ho nessun’altra notizia.
Il Festino, la processione e i festeggiamenti
Oltre alla tradizionale “acchianata”, di cui abbiamo parlato prima, le principali manifestazioni dedicate alla Santuzza sono il Festino e la processione dell’urna argentea con le reliquie della Santa. Eventi che hanno rispettivamente luogo il 14 ed il 15 luglio di ogni anno, ormai da ben 398 anni. Entrambi partecipatissimi, dopo due anni di interruzione per la pandemia, quest’anno riprenderanno il loro tradizionale corso, lungo tutto il Cassaro.
Possiamo ora sperare che la Santuzza, vegliando su di noi dal monte, interceda ancora una volta in nostro favore liberandoci definitivamente dal nuovo flagello chiamato Covid19 e, magari, anche da tutti i suoi eventuali successori.
L’antico canto
Concludo riportando l’antico canto che il popolo palermitano rivolge alla Santa durante la processione che accompagna l’uscita delle sacre spoglie dalla cattedrale, sfilando lungo il Cassaro. Un canto fatto da quasi quattro secoli di devozione.
Uno. Nutti e jornu farìa sta via!
Tutti. Viva Santa Rusulia!
U. Ogni passu e ogni via!
T. Viva Santa Rusulia!
U. Ca ni scanza di morti ria!
T. Viva Santa Rusulia!
U. Ca n’assisti a l’agunia!
T. Viva Santa Rusulia!
U. Virginedda gluriusa e pia
T. Viva Santa Rusulia!
W Palermu e Santa Rosalia!
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