23 giugno 1940, Palermo finisce sotto le bombe

Il 23 giugno del 1940 era domenica, e le prime bombe su Palermo arrivarono dagli aerei francesi, provenienti da basi dislocate tra la Tunisia e l’Algeria. Fino a quel momento, i palermitani, non sapevano cosa significasse subire un bombardamento. Quel giorno, impararono e ne subirono le conseguenze.

Bombe su Palermo. 23 giugno 1940
Le bombe cadono nella zona tra il porto e il quartiere dell’Acquasanta – ripresa aerea da un bombardiere – Palermo, 23 giugno 1940

Quel giorno, 15 bombardieri raggiunsero la città, mentre i cittadini, alla loro vista, erano convnti che si trattasse di una dimostrazione dei mezzi dell’aeronautica. E per questro, alcuni di loro scesero per strada per salutarli, sventolando dei fazzoletti bianchi.

Invece, quei 15 bombardieri colpirono duramente la città usando, oltre le bombe, anche le mitragliatrici di bordo, provocando 36 vittime civili. I loro obiettivi furono il porto, i cantieri navali e la caserma Generale di Maria di via Cantore.

Stessa sorte toccò di li a poco, alle vie Perpignano, P.pe di Scordia, XX Settembre e via Dante, compresa la stazione Lolli. Tutte pesantemente bombardate.

Questa è stata la diretta consegenza della dichiarazione di guerra fatta dall’Italia alla Francia ed all’Inghilterra. Eravamo sotto attacco, eravamo in guerra!

Nella foto il bombardamento del porto, in quel maledetto giorno. L’immagine è stata scattata dallo stesso aereo che aveva appena sganciato le bombe sulla città: la testimonianza fotografica della compiuta missione di morte.

La storia

Tra il 1941 ed il ’42 fu il turno degli aerei inglesi della RAF che decollando da Malta, in diverse occasioni, arrivando dalla direzione di Mondello bombardarono a tappeto la città lungo tutta la costa, fino a Villabate.

La dichiarazione di guerra agli Stati Uniti

Infine, il 10 dicembre 1941, l’Italia, assieme alla Germania, dichiara guerra agli Stati Uniti.

Dichiarazione guerra agli USA
La stampa del 12 dicembre da notizia della dichiarzione di guerra

Di conseguenza, toccò ai B-17 Flying Fortress americani farci la festa. Questi, decollavano da Algeri, con il loro micidiale carico di bombe che sganciarono sulla nostra città da alta quota, durante il giorno.

Le bombe cadono nella zona del porto- ripresa aerea da un bombardiere B-17 - Palermo, 1943
(National Museum of the U.S. Navy, Public domain, via Wikimedia Commons)
Le bombe cadono nella zona del porto- ripresa aerea da un bombardiere B-17 – Palermo, 1943
(National Museum of the U.S. Navy, Public domain, via Wikimedia Commons)

Mentre, di notte, ci pensavano quelle inglesi a sorprendere nel sonno i palermitani. La ragione di questo è molto semplice: gli aerei inglesi, non molto performanti, e carichi di bombe fino all’inverosimile, non riuscivano a volare abbastanza in alto, quanto quelli americani, e di giorno sarebbero stati bersaglio facile per le postazioni della nostra contraerea che erano installate lungo la costa e sul monte Pellegrino.

Il terrore dal cielo

La gente viveva nel costante terrore. In quel periodo, la paura di morire era un fatto che accompagnava tutti i palermitani. Tuttavia, in città, si cercava di andare avanti in qualche modo, spesso anche sfidando la sorte.

Ai primi segnali delle sirene, si cercava riparo come e dove si poteva: a volte in semplici sottoscala o scantinati degli edifici, altre nei cosiddetti rifugi antiaerei sparsi per la città, con la consapevolezza che questi potevano non essere sufficienti a proteggere le loro vite.

Tra questi, ve n’era uno proprio sotto piazza Pretoria, il cui ingresso, accanto ad uno dei leoni, è stato tombato. Comunque il rifugio è ancora oggi visitabile, accedendo da un altro ingresso che si trova dentro al palazzo delle Aquile.

Rifugio antiaereo sotto piazza Pretoria
Ingresso del rifugio antiaereo accanto ad uno dei leoni di piazza Pretoria

La distruzione

Tra questi, vi furono numerosi bombardamenti con le famigerate bombe incendiarie al fosforo bianco, capaci di generare un’ondata di calore che bruciava tutto ciò che stava intorno al loro raggio d’azione. Queste bombe furono sganciate, senza pietà, dagli inglesi sull’inerme popolazione civile che abitava il centro storico della nostra città.

Corso Vittorio Emanuele - vittime sotto alle macerie
Corso Vittorio Emanuele, le vittime tra alle macerie

A questi raid si devono la distruzione del porto, dello scalo ferroviario, dell’aeroporto di Boccadifalco, e di buona parte del centro storico, unitamente alla chiesa del SS. Salvatore, la Biblioteca Nazionale ma soprattutto l’ospedale di San Saverio all’Albergheria. Ben presto, oltre il 40% del tessuto urbano venne devastato.

La galleria di Boccadifalco

I miei genitori mi raccontarono che nel periodo bellico tutti cercavano di sfuggire ai bombardamenti con qualsiasi mezzo. C’era chi si allontanava dai centri abitati avventurandosi in zone ritenute meno critiche, nelle campagne circostanti, e chi, invece, rimasto in città si rifugiava nei ricoveri, nei sottoscala o dentro alle gallerie ferroviarie, sempre in condizioni veramente poco invidiabili e sperando di non fare “a fini ru surci” (la fine del topo).

Mentre fuori, dal cielo, cadevano le bombe ed era in gioco la loro vita. Cos’altro potevano fare!?

Mia madre mi parlava delle tante persone che a Boccadifalco vivevano accampate dentro alla galleria della ferrovia Palermo – Camporeale: una linea ferroviaria non ancora completata.

Queste vivevano li perchè le loro case erano state distrutte. Non erano tutte di Boccadifalco, mi diceva: alcune erano arrivate li in preda alla disperazione, fuggendo da altri luoghi bombardati. Mi raccontava di come fossero costrette a vivere in promiscuità ed in condizioni igieniche e sanitarie molto precarie. Lei ne ricordava ancora il forte odore di quella galleria: … mancava l’aria, diceva.

Galleria Boccadifalco
Nel rifugio antiaereo durante un bombardamento a Palermo, giugno 1943. © Istituto Luce – Cinecittà

Donne, uomini, vecchi, bambini… tra i ratti, gli scarafaggi, le cimici, i pidocchi… senza acqua, cibo, nè servizi igienici nelle vicinanze. Privati di tutto e barricati li dentro, a difesa delle loro vite e di quel poco o nulla che ancora gli restava, appeso con dei chiodi a quelle pareti.

Il suono delle sirene

Mi raccontò di come, in quella galleria, vi si avventuravano anche loro: lei una ragazzina, tenuta per mano dai miei nonni, quando fuori le sirene cominciavano a suonare, per avvisare solo pochi minuti prima dell’arrivo dei bombardieri dalla direzione di monte Pellegrino.

Questi, con il loro carico di bombe, erano diretti sulla città e sul vicino aeroporto di Boccadifalco, nei pressi del quale i miei nonni avevano da poco acquistato casa, appena trasferiti li da piazza Bologni… un affare!

Mi disse di quella volta in cui, cercando riparo, si precipitarono sotto ad un carretto fermo ai margini della strada, quando dall’alto arrivarono i proiettili delle mitragliatrici su via Pitrè, accanto all’aeroporto, mentre loro erano fuori nel tentativo di reperire del cibo al mercato nero.

Mi parlava di come mio nonno, ogni mattina dovesse recarsi in ufficio, a piazza Bellini – a piedi, da Boccadifalco – con il cuore in gola e il terrore di non poter più tornare a casa o di non trovare più nè loro, nè casa, al suo ritorno.

La bomba

Come di quella volta che, mentre si trovavano nella galleria, per fortuna al riparo, una bomba gli distrusse casa e dovettero sfollare a San Lorenzo, alla ricerca di un posto più tranquillo dove vivere… ma per mio nonno, poveruòmo, significò – ancora più chilometri a piedi, da San Lorenzo a piazza Bellini e viceversa, a volte sotto le bombe: come chi, come lui, poteva ancora lavorare per vivere, cercando di non morire sotto le bombe. E, in questo, era stato doppiamente fortunato.

E’ la guerra… è la vita, si ripeteva.

Lo ricordo ancora mio nonno Angelo: alto, magro, sempre elegante, baffetto ben curato e panama in testa. Uomo onesto, gran lavoratore: una brava persona come tante. Mi è rimasto questo ricordo di lui ma, per quanto mi sforzi, non riesco però ad immaginarlo, da giovane, correre in mezzo alle macerie ed ai proiettili delle mitragliatrici. Eppure, anche lui in guerra c’era stato, da ragazzino, nel fronte sul Grappa, contro le forze austro-ungariche. Di ritorno, portò una stella alpina a mia nonna, che ancora qualche anno fa conservava tra le pagine di un vecchio libro… ma, soprattutto, portò a casa la pelle. E proprio grazie a questo fatto oggi io sono qui a scriverne.

L’operazione Husky

Il 10 luglio 1943, con la più grande flotta mai vista fino ad allora nel Mediterraneo, prese inizio la cosiddetta “operazione Husky” e gli stessi che ci avevano bombardato per 3 anni, sbarcarono in Sicilia divenendo gli “alleati” anglo-americani. Il successivo 23 luglio gli americani entrarono a Palermo per “liberarci”.

Operazione Husky
Gli americani acclamati dal popolo entrano a Palermo

E per finire anche i tedeschi

Poi, sempre nel luglio di quell’anno, arrivarono le bombe tedesche, che ci piovvero addosso per colpire gli americani, che nel frattempo si erano insediati in città.

Per farla breve, francesi, inglesi, americani e tedeschi ci hanno fatto il tiro al bersaglio per 3 anni di fila, e senza guardare in faccia nessuno. Addirittura esercitando il tiro contro la popolazione inerme.

Insomma non è stato certo un periodo allegro: la miseria e la fame, strade, case e ospedali distrutti, oltre 30.000 feriti, 2.123 morti, durante i bombardamenti, e migliaia di sfollati. Questo, solo nella città di Palermo.

Circa il 90% della città venne colpito e distrutto dalle bombe.

Bombardamento del porto di Palermo
La zona del porto, la Cala ed il centro storico, sotto un pesante bombardamento nel marzo del 1943

Nella motivazione dell’assegnazione alla città della medaglia d’oro al valor militare, si legge: “la città resistette impavida, per oltre tre anni, in condizioni drammatiche, spesso disperate”. Bella consolazione!


Abbiamo memoria corta

Oggi, rileggo quanto ho scritto qui sopra, mentre proprio in questi giorni, in Europa, si rifà la guerra. L’esperienza fatta, le vittime, i danni e le immagini che resteranno impresse per sempre negli occhi e nei ricordi dei sopravvissuti non ci hanno proprio insegnato niente.

La guerra non è mai la soluzione ai problemi. La guerra è aggiungere un altro problema al problema. Ma quando lo capiremo?

Dove si trova?


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