Si, un vero fiume nascosto scorre sotto le abitazioni di vicolo Bernava. Un fiume che in sotterranea attraversa tutta la città. E non è certo il solo.
Oggi tratterò un argomento, sotto alcuni aspetti, un pò insolito per questo blog. Ma si tratta di un fatto di una certa rilevanza e gravità, avvenuto a Palermo non molti anni or sono: appena dieci. Un triste episodio che ha messo in pericolo l’incolumità di svariate persone.
Da un lato per semplice curiosità, dall’altro perchè il fatto mi ha umanamente colpito, provo a seguire questa vicenda ormai da parecchio tempo.
Secondo la mia personale opinione, trovo che la triste storia sia passata un pò sottotraccia e credo che questa vada ancora osservata, quanto meno sotto l’aspetto umano, e poi di nuovo raccontata.
Se avrete la pazienza di leggere questo articolo fino in fondo, io ci proverò.
Data la vastità dell’argomento, prima, sarà necessaria una premessa che, unitamente a qualche piccolo accenno storico, tornerà utile per inquadrare meglio la natura del problema.
La storia
Tra i fiumi ormai nascosti nel sottosuolo di Palermo, tre sono i più importanti: il Kemonia, il Papireto ed il Passo di Rigano.
Si tratta in realtà di corsi d’acqua a regime torrentizio, ormai sotterrati da tempo.
Questi, fatti scorrere all’interno di canaloni artificiali in cemento, ingrossano la loro portata idrica già ai primi consistenti acquazzoni tipici dell’inizio autunno. Per poi, finita la stagione della pioggia, ritornare allo stato di innocui rigagnoli, quando non spariscono completamente durante la stagione estiva.
I ciumi ru malutiempu
I nostri nonni li chiamavano proprio così: “ciumi ru malutiempu“. E malgrado oggi, almeno i tre di cui sopra, sono stati incanalati e interrati sotto il livello del piano stradale, alle prime piogge insistenti, ciclicamente questi tornano a rivivere all’esterno, facendosi notare con tutta la loro forza. Manifestazione che ci ricorda puntualmente della loro esistenza.
Uno tra questi è il Papireto, che ogni anno si esibisce all’aperto tra la via Imera e piazza Santo Nofrio. Le acque risalendo in superficie, in quella zona riescono a passare pure attraverso i mattoni del pavimento dei locali di piano terra, allagandoli completamente.
Analogo spettacolo viene concesso dal fiume Kemonia, anch’esso sotterrato, ma che nella vicina via Porta Di Castro, spesso si trasforma in un vero fiume in piena, ripercorrendo in superficie il suo antico letto, fino al mare.
Mentre il Passo di Rigano, anch’esso tombato, è tutt’ora protagonista della interruzione senza fine della corsia di via regione Siciliana (altezza Lidl) e di cedimenti alle pavimentazioni in alcune case di via Montalbo.
Le acque meteoriche
Come abbiamo visto, durante la stagione delle piogge, la grande quantità di acque meteoriche raccolte, e magari anche le occlusioni meccaniche causate dai detriti che la forza delle acque porta con se, fa ingrossare a dismisura i corsi d’acqua fino a farli letteralmente esplodere e straripare.
Va ricordato che nella mera realtà dei fatti, a causa degli innumerevoli scarichi abusivi di acque luride, che ormai sopportano da tempo, questi corsi d’acqua sono stati ridotti allo stato di fogna.
La rete fognaria
Complice anche una rete fognaria inadeguata, inficiata da vari problemi e spesso priva di manutenzione, risalendo in pressione dal sottosuolo, le acque meteoriche, mischiate a quelle di fogna, provocano sistematicamente danni ed allagamenti in varie zone della nostra città.
Di questo, ne siamo tutti consapevoli, per averlo visto dal vivo, con i nostri occhi ad ogni autunno. E mi riferisco in particolare agli allagamenti ciclici e ormai arcinoti di via Imera, via Papireto, via Porta di Castro, e i sottopassi di via Regione Siciliana, questi – tristemente famosi -; senza dimenticare la zona di Mondello, afflitta da sempre da questo grave e persistente problema. Più recentemente, ma già da qualche anno, a questa impietosa lista si sono aggiunte la zona di via Crispi, nei pressi del porto, e qualche tratto di via Messina Marine.
Gli allagamenti a Palermo
Per chi abita in città, o si trova ad attraversarla nei mesi invernali, le immagini qui sotto rappresentano sicuramente un nulla di nuovo.
Tuttavia, nella storia, questo triste spettacolo non è affatto nuovo per la nostra città, ed è singolare apprendere che anche i nostri nonni, e chissà quante generazioni prima di loro, dovettero misurarsi con analoghi problemi.
L’argomento è stato già trattato in questo blog con uno specifico articolo intitolato: “Le incredibili immagini dell’alluvione del 1931“. Potrete leggerlo a 👉questa pagina.
I fiumi sotterranei
Sappiate che Palermo nasconde decine di torrenti sotterranei, forse centinaia. Alcuni di questi sono di dimensioni minori, rispetto ai tre più noti che ho già citato in premessa; altri, sono ancora del tutto sconosciuti, vuoi per dimensioni che per posizione geografica.
Nella mappa che segue, sono indicati solo i più noti corsi d’acqua, sotterranei e non, che attraversano la città.
Tutti questi corsi raccolgono le acque piovane che vengono giù dai nostri colli che circondano la città come un semi-anello. Lo fanno in modo capillare e quasi sempre nascosto, per poi conferire le acque raccolte lungo il loro percorso in mare, nella zona del porto, della Cala, all’Acquasanta e anche nella piana di Mondello.
Infatti, come molti già sanno, per averlo sperimentato di persona, anche nella zona di Mondello, il fenomeno è quantomai rilevante.
I ragazzi, (almeno loro) riescono a trasformare l’accaduto in un’occasione di divertimento. Anche se, conoscendo la provenienza e la composizione di quelle acque io, wakeboarding, li non lo farei.
Il sottosuolo di Palermo
In pratica, stiamo parlando di un naturale sistema di drenaggio della cosiddetta “piana di Palermo” il cui sottosuolo, essendo costituito da una zona permeabile di calcarenite, adagiata su uno strato sottostante di argille impermeabili, permette lo scorrimento sotterraneo di queste acque, per gravità, in un unico senso, dalle zone più alte (a monte), fino allo sbocco in mare.
Gli arabi e i Qanat
Della conformazione del nostro sottosuolo ne sapevano parecchio già gli arabi, che sfruttanto questi mille rivoli sotterranei, ne captavano le acque, realizzando i Qanat. Questi ultimi, ingegnosamente costruiti a scopo irriguo, imbrigliavano le acque sotterranee in corsi artificiali scavati nel tufo, per poi incanalarne l’acqua verso quelle zone il cui sottosuolo ne era sprovvisto, o presente solo in modeste quantità. Dei Qanat palermitani ne ho scritto in maniera più dettagliata a 👉questa pagina.
Sin qui, nulla di nuovo. Tuttavia, non è da escludere che in seguito a particolari condizioni meteoriche anche questi, cosiddetti “piccoli” corsi d’acqua, possano improvvisamente ingrossarsi e rivelare la loro presenza. E magari riuscire pure a far danno.
Il rischio idraulico e idrogeologico
Questo fenomeno, potenzialmente pericoloso, con il quale abbiamo sempre più spesso avuto a che fare negli ultimi anni, costituisce parte del cosiddetto rischio idraulico e/o idrogeologico nella nostra città. Il resto, lo abbiamo fatto noi, cementificando dappertutto e rendendo il suolo, per chilometri e chilometri, praticamente impermeabile. Di conseguenza, tutte le acque raccolte a monte, non potendo più venire assorbite dal terreno sottostante, si trasformano inevitabilmente in fiumi che scorrono a valle. Se la notizia può tranquillizzarvi, questo succede dappertutto. Non solo qui da noi.
Il fenomeno in realtà è molto più complesso, ed ha molteplici altre cause (e concause) che possono portare ad una serie di conseguenze, alcune anche spiacevoli. Risvolti che esulando dalle nostre conoscenze, non potremo certo trattare in modo adeguato in questa sede. Ma, possiamo comunque provare a farci un’idea grossolana. (Una “grassa idea ignorante”, come la chiamo io). Limitiamoci a questo.
Chi, invece, volesse approfondire l’argomento del dissesto e del rischio idrogeologico nelle nostre città potrà farlo sul sito dell’ ISPRA a 👉questa pagina.
Il fiume sotto vicolo Bernava
Alcuni di voi sapranno già che uno di questi corsi d’acqua, è stato tra i responsabili della recente demolizione di alcuni edifici nei pressi del palazzo di giustizia. E non si tratta di uno dei tre grandi, sopra citati, ma di un corso d’acqua, oggi chiamato “fiume di vicolo Bernava” di cui, fino a qualche anno fa, si sapeva poco o nulla. Anche se, per dovere di cronaca, devo dire che in qualche modo, questo aveva già fatto parlare di se, rivelando la sua presenza, in occasione dei lavori per la costruzione della nuova cittadella giudiziaria, dietro al palazzo di giustizia, a due passi da li.
Ricordo che in zona, parecchio tempo fa, a causa dell’ingrossamento dei corsi d’acqua sottostante (leggi sovralimentazione post pioggia della falda acquifera) si allagarono interamente le fondamenta dei nuovi realizzandi edifici, della cittadella. Queste ultime, molto profonde, che erano state appena scavate, furono in breve tempo trasformate in enormi piscine ricolme d’acqua di falda.
Ricordo pure, che il Prof. Todaro, grande conoscitore del sottosuolo palermitano, all’epoca aveva già messo in guardia sull’esistenza del problema, rifacendo gli stessi avvertimenti, rivolgendosi agli amministratori, quando è stato il momento di scegliere tra il tram e la metropolitana leggera (MAL):
“Occorrono studi specifici e dettagliati. Il sottosuolo palermitano non è caratterizzato solo dai fiumi, Kemonia, Papireto e Flumen galli, ci sono tanti rivoli secondari mai abbastanza studiati. E se si scende in profondità i rischi aumentano affrontando gli strati geologici più remoti”.
Adesso, però, non sta a noi capire quale sia la causa di ciò che è successo in vicolo Bernava, nè di chi siano le eventuali responsabilità, se mai ce ne fossero. Esiste apposta la magistratura che avvalendosi dei suoi strumenti e dei consulenti incaricati, svolge proprio questo lavoro.
Ma torniamo a noi e al nostro fiume nascosto.
Le case di vicolo Bernava
Nel vicolo Bernava e in un tratto di via Serpotta, a pochi passi dal corso Olivuzza e dal palazzo di giustizia, sono ancora oggi in corso dei lavori molto impegnativi. L’esito di questi servirà a porre rimedio alla drammatica situazione che si è verificata a causa dell’esistenza del fiume sotterraneo.
Questi lavori, in varie fasi, vanno avanti da oltre un decennio. Anche se, ovviamente, nei ritardi ci ha messo lo zampino pure la burocrazia e varie altre vicissitudini, sulle quali sorvolerò.
La storia è molto articolata e complessa ma, per sommi capi, proverò a sintetizzarla. Tenterò di raccontarne solo gli aspetti più eclatanti, chiedendo preventivamente scusa per eventuali imprecisioni od omissioni. Queste, dovute soprattutto alla mia mancanza di competenze tecniche in questo settore specifico. Quindi, scrivendo esclusivamente da osservatore ignorante della materia, tenterò solo di mettere in fila alcuni degli elementi già noti a tutti.
La ferrovia
Per meglio affrontare l’argomento, partiamo da un articolo che ho pubblicato alcuni mesi fa.
L’articolo in questione si chiama “La cabina manovre e il treno che tagliava in due la città“, che è disponibile per la lettura a 👉questa pagina.
Riassumendo, nel tratto in esame tra la stazione Lolli ed il corso Olivuzza (corso Finocchiaro Aprile) un tempo correva in superficie la linea ferroviaria che si divideva giusto in quella zona, formandovi un bivio. I due rami erano costituiti dalla linea che proseguiva verso Trapani e da un’altra, più antica, che correva invece in direzione porto.
I lavori per il Passante Ferroviario
Proprio in questa zona, poco più che un decennio fa, in seno ai lavori per la realizzazione del Passante Ferroviario di Palermo, è stata scavata una nuova galleria.
Questa avrebbe permesso il raddoppio della esistente linea ferroviaria sotterranea che a metà degli anni ’70 aveva già sostituito quella vecchia linea di superficie di cui abbiamo sopra accennato.
L’opera si è resa necessaria per modernizzare ed efficientare il collegamento tra la stazione Notarbartolo e la stazione centrale. La sua finalità era di potenziare la stessa, con la realizzazione di varie stazioni intermedie che avrebbero costituito parte della cosiddetta metro-ferrovia.
Il fattaccio
Per ragioni che non potrò affrontare nel dettaglio perchè ciò esula dalle mie competenze/conoscenze della materia, mi limiterò a riportare i fatti accaduti:
Durante i lavori di scavo per la galleria, nell’ultimo tratto di circa 50 mt, nei pressi di vicolo Bernava, qualcosa è andato storto.
“Gli scavi sottoterra si avvicinano, i tremori si fanno più forti e frequenti, poi compaiono le crepe sui muri e si sbriciolano gli intonaci. Le porte e gli infissi si bloccano. Alla fine, dopo diversi sopralluoghi e svariate rassicurazioni da parte dei tecnici, è arrivata la brutta notizia: gli appartamenti sono inagibili, troppo pericoloso restare. Bisogna sgomberare le case di via Serpotta e vicolo Bernava.”
Poi, un fiume d’acqua, la cui esistenza e pericolosità erano state verosimilmente sottovalutate, è venuto fuori dal fronte di scavo. Un vero fiume, che scorreva sotto le case di vicolo Bernava, ha allagato il tratto di galleria appena realizzato. L’acqua, ed altri materiali che aveva trasportato, hanno invaso la cavità dove si trovavano gli operai al lavoro ed i loro mezzi. Fatto gravissimo che ha determinato lo stop dei lavori e la chiusura del cantiere.
Tra gli operai che erano al lavoro sottoterra, per fortuna nessuno si è fatto male, ma questi hanno dovuto abbandonare il cantiere, che è stato subito dopo messo in sicurezza.
Le ipotesi formulate
Di queste se ne parlò per più tempo sui vari giornali locali dell’epoca, che si spingevano ad ipotizzare alcune delle cause. Ve ne riassumo un paio qui di seguito:
La prima, parlava di un movimento improvviso che, forse a causa di un cedimento nel sottosuolo, potenzialmente causato dai lavori in corso – si disse – ha interessato oltre ad una grande quantità d’acqua anche altri materiali: tra questi le sabbie sotterranee, il cui movimento andando a modificare la consistenza del terreno dove insistevano le fondamenta di alcuni edifici sovrastanti, ne ha gravemente compromesso la stabilità.
Un’altra ipotesi, non molto dissimile dalla precedente, riguardava l’esistenza di alcune grandi cavità sotterranee prima ricolme d’acqua, e poi rimaste improvvisamente all’asciutto a causa di probabili spaccature nel sottosuolo createsi con le vibrazioni indotte dagli scavi. Le pareti di queste cavità, ormai svuotate, si è ipotizzato che stessero per collassare creando quei movimenti, poi risultati deleteri per gli edifici sovrastanti.
E tante altre ancora.
Qualunque fosse la vera origine del problema, ciò ha provocato l’inagibilità degli edifici, a causa delle lesioni arrecate alle strutture portanti ed alcune grandi spaccature nei muri perimetrali ed in quelli interni, (se non vado errato i palazzi interessati dal fenomeno erano circa 5), mettendo a repentaglio la sicurezza delle persone che vi abitavano. Queste gravi conseguenze, ne hanno di fatto decretato l’abbandono e infine l’abbattimento.
L’abbandono delle case
Nel 2012 cominciarono i primi timori, manifestati dalle persone che vivevano in quelle case, tra vicolo Bernava e via Serpotta. La causa era il continuo verificarsi di lesioni sempre più profonde alle pareti. Dopo una serie di perizie tecniche che hanno confermato quelle paure, alla fine, con un’ordinanza di sgombero le famiglie interessate furono costrette ad evacuare gli edifici. Quella volta si disse: “solo a scopo precauzionale”.
Comprenderete che per le decine di famiglie che vi abitavano è stato un incubo. In tanti, sono stati costretti ad abbandonare in fretta e furia le loro case, che rischiavano di crollare sulle loro teste da un momento all’altro.
Un pezzo delle loro vite veniva sottratto con violenza inaudita, senza la certezza che poi gli sarebbe stato restituito. E, in effetti, malgrado le rassicurazioni, quella agognata restituzione, non è mai più avvenuta.
In pratica si è verificato lo scenario tipico delle calamità naturali. Come quelle causate dai forti terremoti o dalle grandi alluvioni, dove chi ne paga il prezzo sono soprattutto le persone inermi, travolte dagli eventi e a volte abbandonate a se stesse, e affidate buona volontà di pochi.
L’imprevisto geologico
Da quel giorno fu loro permesso, solo un paio di volte, e sempre con l’assistenza dei Vigili del Fuoco, rientrare in casa per pochi minuti, giusto il tempo utile a recuperare pochi oggetti con valore affettivo e quelli indispensabili. Nulla di più.
Gli ingegneri lo chiamarono “imprevisto idrogeologico” ma per quelle famiglie ciò significò la definitiva perdita delle proprie case e dei loro averi.
I tentativi di ripristino
Innumerevoli furono i successivi tentativi volti a risolvere il problema ed a ripristinare lo stato dei luoghi. Si provò dapprima ad estrarre l’acqua dal sottosuolo, aspirandola con delle potenti pompe. Ma dopo settimane di lavoro, senza sosta, si dovette desistere: l’acqua non finiva mai. Poi, si provò a congelare il corso d’acqua sotterraneo con degli appositi mezzi tecnologici utili a questo scopo.
Infine, si effettuarono iniezioni di cemento nella profondità del sottosuolo, per tentare di riempire eventuali cavità e stabilizzare le masse in movimento. Si interpellarono i migliori tecnici del settore, i luminari degli Atenei ma… fu tutto inutile. Li sotto si era innescato qualcosa di apparentemente inarrestabile. Alla fine, anche l’impresa che stava realizzando l’opera dovette gettare la spugna.
L’unica alternativa era abbattere tutto
L’accesso agli edifici venne definitivamente inibito. Quindi, fu disposto il loro sequestro per permettere le verifiche di stabilità e le indagini tecniche connesse ed, infine, vennero espropriati ed abbattuti.
Per quelle famiglie fu una vera sciagura. Anni di lavoro e di risparmi andati in fumo in pochi giorni.
Chi aveva appena acquistato casa e ristrutturato, chi ci abitava da una vita, chi non era ancora riuscito a farlo… fu per tutti un vero dramma. Un colpo durissimo per tutte quelle famiglie.
Se le mie informazioni sono corrette, gli ultimi compensi per l’esproprio sono arrivati pochi giorni fa e, in pochi altri casi, sono ancora in corso dei procedimenti giudiziari per accertare l’esistenza di eventuali responsabilità su presunte omissioni, imperizia o incuria, e determinarne i risarcimenti. Tipicamente il valore dei compensi per l’esproprio è notevolmente al di sotto del reale valore degli immobili. Valore non solo affettivo.
Ad oggi, esaurita questa fase, i lavori per il passante ferroviario in zona sono ripresi già da alcuni mesi. E forse, non senza difficoltà, questi tra qualche anno verranno completati. Le ultime stime parlano del 2024.
Un giardino alla memoria?
Nel vuoto che si è venuto a creare dopo l’abbattimento degli edifici, proprio sopra la futura galleria dentro alla quale correrà il treno, verrà creato un nuovo giardino pubblico che auspico venga intitolato o, almeno, vi sia posta una targa in memoria del dramma vissuto da quelle famiglie.
Questa non servirà certo a cancellare le ferite impresse, ma sarà solo un piccolo gesto simbolico che la città penso debba a tutte loro.
A questo punto, qualcuno potrà obiettare che si è trattato di un raro caso, particolarmente sfortunato, verificatosi fortuitamente durante la realizzazione di un’importante opera pubblica di indiscussa utilità. E probabilmente ciò è vero. Ma, alla fine, noi pagheremo un biglietto da 1,50 € per prendere quel treno. Pensate a quanto sarà costato – a quelle persone – quel biglietto per recarsi alla stazione centrale.
Ringraziando chi ha avuto la pazienza di leggermi fin qui, voglio virtualmente stringere in un forte abbraccio gli ormai ex abitanti di vicolo Bernava, la cui infelice storia ha ispirato questo mio lunghissimo post, che neppure immaginando di voler dare risposte, pone ancora una volta all’attenzione di chi legge uno dei tanti problemi irrisolti della nostra città.
Ho atteso un pò prima di pubblicare questo lungo articolo, confidando nel fatto che adesso, trovandoci quasi tutti in ferie, almeno potenzialmente, si sarebbe potuto avere il tempo per leggerlo tutto. Non mi aspetto che siate in tantissimi a farlo, ma spero vada così.
Dove si trova?
Comments